Immagini che affiorano sulla riva dei pensieri. Portate come relitti sulle spiagge della memoria. Non seguo il comandamento delle novità. Seguo soltanto le mie ossessioni. Sono loro che mi portano, o meglio, mi costringono, alla reiterazione della parola scritta.
Come una guida indiana insegue un'orma, io inseguo un'immagine.
Notte. Una ripresa dall'alto. Silenzio. Silenzio assordante. File di luci in movimento. Serpente infinito di auto che percorre le strade di una Buenos Aires piena di vita. Ma in silenzio. Immagine che arriva ogni dieci o venti minuti, a troncare il corso della storia. Intervallo tranquillo e felice, nel mezzo della orribile banalità del male.
E' quel silenzio che mi opprime. Quella immagine di vita che non sa o non vuole sapere. E' come un incubo. Le urla di orrore tragicamente ovattate. La vittima grida il suo terrore senza che nessuno possa o voglia sentirla.
E' la banalità del male. E' la banalità dell'orrore. Siamo tutti vittime. Forse siamo tutti anche potenziali carnefici. E' sufficiente un nonnulla. Forse.
Il confine che è in noi tra il bene e il male è varcabile in ogni istante. Lo possiamo fare. Tutti.
Ecco, l'orrore.
Un film.
Garage Olimpo, di Marco Bechis, 1999.
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