Gli anni Settanta. Sempre. Comunque. Ma non i Settanta italiani o europei, no. I Settanta americani. America, la parte per il tutto. America, cioè Usa, cioè luogo (detestabile o meno) dell'immaginario occidentale. I Settanta della filmografia senza fronzoli barocchi. I Settanta di Quel pomeriggio di un giorno da cani, tanto per citare un titolo fra i tanti. Poliziotti newyorkesi dai capelli lunghi, in camiciola carta da zucchero sudata. Eccoli, i Settanta.
Gay Talese (un altro italoamericano; quanti italoamericani, nella letteratura, nel giornalismo) scrive un libro e definisce Playboy e il suo fondatore Hugh Hefner, come l'impero onanistico americano. Nessun moralismo. Solo una constatazione.
Ogni mito, in quel pantheon mercantile senza alcun riferimento deistico, ha il suo contraltare o, come piacerebbe a Borges, il suo doppio. Coca Cola e Pepsi, Microsoft e Apple, Playboy e Penthouse.
Lessi una volta una interessante analisi (non cito la fonte perché non la ricordo e so che Borges, aedo dell'incertezza, sarebbe d'accordo): "Le foto delle ragazze di Playboy danno l'impressione che, per averle, è necessario almeno invitarle a cena. Le foto delle ragazze di Penthouse danno l'impressione che, per averle, è sufficiente pagarle."
Bob Guccione, il fondatore di Penthouse, è morto. Anche l'erotismo, anche il softcore, anche le immagini di quelle ragazze dagli occhi di cerbiatta e dalle gambe aperte, devono fare i conti con la morte.
Chissà cosa ne scriverebbe Don DeLillo?
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