Nel film Contact, tratto dall'omonimo romanzo di Carl Sagan, la difficoltà nel comprendere il messaggio che arriva da una civiltà extraterrestre, nasce dal fatto che il messaggio in questione viene tradotto sulla base delle tre dimensioni della nostra realtà. Sarà l'intuizione che quelle tre dimensioni non sono sufficienti, e che è necessario ricorrere ad una dimensione ulteriore, a far comprendere il suo vero significato.
Stefano Bartezzaghi ci guida nella scoperta di quella dimensione che si cela tra le parole scritte. Scrittori giocatori fa cadere una ad una le nostre certezze di lettori. Come Alice, accompagnati o forse trascinati dall'Autore, ci ritroviamo spaesati oltre lo specchio della nostre sicurezze. Sicurezze coltivate nella riduttiva, e falsamente tranquillizzante, pretesa che una storia, un racconto, un romanzo esauriscano nel rapporto catartico autore/lettore la loro funzione. Invece, come figurine immobili perse nel paesaggio surreale della vignetta di un rebus, come manichini statici di un quadro di De Chirico o come sagome mollemente scheletriche di un'opera di Dalì, ci ritroviamo prigionieri di un enigma di cui ignoravamo persino l'esistenza. Una carrellata di scrittori che hanno giocato con le parole e che, per mezzo di questo gioco, hanno saputo creare un vero e proprio universo parallelo dei significati nascosti. Tanti sono i nomi: Nabokov, Calvino, Proust, Queneau, Capote, tanto per citarne soltanto alcuni. Creatori di mondi, gioiosi carnefici della nostra insipienza ma, a volte, anche tragiche vittime del loro stesso gioco. Anche Stefano Bartezzaghi, da buon enigmista, non si sottrae a questa scelta e, nell'ultimo capitolo (dedicato a David Foster Wallace), compare addirittura come spettatore del funerale dell'autore di Infinite Jest.
Anche l'artefice Bartezzaghi, come in ogni buon gioco di specchi borgesiano, è rimasto prigioniero oltre lo specchio assieme a noi.
Un libro.
Scrittori giocatori, di Stefano Bartezzaghi (Einaudi).
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