A leggere queste pagine di Ermanno Cavazzoni ci si ritrova dapprima leggeri e zompettanti, quasi come i personaggini tenuemente colorati di qualche illustrazione di Folon. Poi però, a mano a mano che si procede nella lettura, subentra nel nostro animo un certo pessimismo. E allora viene quasi da immedesimarsi nel fauno sfortunato e patetico di Allegro ma non troppo, di Bruno Bozzetto. E come quel vecchio fauno insegue, sempre rifiutato, una giovane e bella ninfa, anche noi scopriamo di essere degli inseguitori. Degli inseguitori del nulla. Perché, a nostro modo, siamo tutti riconducibili agli scrittori che Cavazzoni descrive con leggiadro sadismo. Tutti scriviamo, sulla carta, sulla pagina infinita di internet (per dirla alla Saramago) e scriviamo costantemente, indefessamente, senza tregua. Con l'intento, nemmeno troppo malcelato, di perpetuare qualcosa di noi stessi. Senza però renderci nemmeno conto che, in realtà, ciò che contribuiamo a rendere eterno è soltanto un costante, infinito, sfiancante rumore bianco.
Ermanno Cavazzoni ha guardato dentro se stesso, ha guardato dentro noi tutti. Ha scoperto lacrime e illusioni e, come nella miglior tradizione del pamphlet settecentesco, ci dice, con ironica follia, che, alla fin fine, siamo tutti soltanto dei fous littéraires. E che, nell'esserlo, siamo anche contenti e appagati.
Un libro.
Gli scrittori inutili, di Ermanno Cavazzoni (Guanda).
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