Cristina, quanto conta nella scelta delle storie che decidi di narrare il tuo lavoro di giornalista?
Scrivo tutti i giorni e scrivo storie vere. Anche quando mi confronto con un libro, ho difficoltà a inventare. Invidio molto gli scrittori che si mettono a tavolino e costruiscono personaggi, trama, intreccio. Io ho la trama chiara davanti a me, i personaggi sono vivi, non devo costruirli, devo solo cercarli, studiarli, viverli e raccontarli. Anche quando scelgo “la” storia, lo faccio da giornalista: cerco la notizia. In genere è un caso che leggo sui giornali e mi colpisce, ma mi lascia molti dubbi. Le storie dei miei libri, infatti, nascono sempre dalla voglia di chiarire i punti oscuri di una notizia. Come vedi il cerchio si chiude: punto di inizio e di fine è la cronaca. E anche durante tutto il lavoro di raccolta di materiale sono una giornalista. Solo nell’ultima fase mi dimentico il mio lavoro e sono scrittrice, se davvero esiste una differenza così netta.
Perché no è un romanzo di voci. Leggendolo si ha l’impressione di starci, in mezzo a quelle strade, in mezzo a quei quartieri. Privilegi molto il dialogo. E’ stata una necessità o una scelta?
Questo libro nasce da un atto d’amore verso Napoli. Mi piaceva l’idea che il lettore attraversasse Napoli come è accaduto a me....anche le parti in napoletano le ho inserite per ricreare il suono (a volte straniante) che mi ha accolto i questa città. I PerdisaPop poi hanno una misura massima 128 pagine e con i dialoghi si corre più veloci, si racconta in presa diretta.
Come è nato Perché no?
E’ nato per caso. L’anno scorso ho incontrato Luigi Bernardi (editor Perdisa, e non solo...) al festival Nebbie Gialle. Lui mi chiede se ho una storia pronta. Mento. Dico di sì e gli racconto la storia di Daniele e Francesco. Gli piace subito. La storia l’avevo letta la mattina in treno, mi aveva subito colpito, ma non era ancora un libro. Lo è diventato. Avevo una gran voglia di scrivere di Napoli. E ...a un editor mai dire di non avere una storia pronta.
Hai uno stile molto asciutto. Disegni i tuoi personaggi con poche ma decisive pennellate e soprattutto non “entri” nel romanzo, ma te ne stai efficacemente in disparte, come una osservatrice. In questo senso, hai avuto delle influenze letterarie, dei modelli, o questa tua posizione nasce perché la trovi più funzionale alla storia che racconti?
Modelli? Mhh…diciamo che torniamo alla prima domanda. È il mio modo di scrivere, perché sono una giornalista, perché così scrivo ogni giorno. Mi piace che il lettore viva i personaggi, piuttosto che descriverli io. Mi sembra una scrittura meno invadente.
Che cosa leggi? Quali sono i tuoi autori preferiti?
Leggo tutto. Pochi gialli. Autori italiani tanti, passati e contemporanei. Ora sto scoprendo gli scrittori americani. L’elenco sarebbe lunghissimo.
Chi scrive è, anche inconsapevolmente, influenzato dai luoghi. Dai luoghi delle sua vita, ma anche da quelli attraverso i quali è passato, magari fuggevolmente. Quanta importanza hanno i tuoi luoghi nella tua scelta di narrare?
Ti dico solo che io non ho mai scritto di Taranto, la mia città, ma Taranto è in ogni mio libro.
Qual è, da scrittrice, il tuo rapporto con il mondo dell’editoria?
Con le case editrici con cui ho lavorato c’è subito stato un rapporto ottimo. Mi piace fare squadra, dall’editor, all’addetto marketing, all’ufficio stampa. Credo però che le case editrici medie, investano poco sulla comunicazione e sul marketing, rassegnate alla concorrenza con i colossi. Ed è un peccato.
Cristina, un’ultima domanda. Che consiglio daresti a chi ha un libro nel cassetto e da quel benedetto cassetto vorrebbe magari farlo uscire?
Miserere, il mio primo romanzo l’ho inviato a tutte le case editrici, via posta, senza conoscere nessuno. Io credevo in Miserere. Il consiglio è di credere nel proprio lavoro e inviarlo alle case editrici, i libri hanno una vita propria. Ovviamente, ci vuole solo un piccolo accorgimento: bisogna studiare prima il catalogo dell’editore a cui si invia un manoscritto, non si può mandare un saggio a una casa editrice che pubblica solo libri per ragazzi, o un libro di poesie a chi non ha una collana dedicata.
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