Francesco corre e la strada parla, parlano le radio, le moto, i carrozzini trascinati da mamme bambine. Il rumore di sottofondo ha un volume costante. (...) Parla la strada e Francesco si carica delle voci, che rimbombano nella sua testa, che sono il sottofondo costante della sua vita.
Sì. Voci. Voci. Voci, voci e voci. Voci che rimbalzano sui muri. Voci che rimbalzano per le vie. Voci che che rimbalzano nei pensieri. Non un romanzo corale. Ma un romanzo di voci. Di voci violente. Di voci rassegnate. Di voci che resistono. Di voci che si perdono.
Un'educazione alla violenza. Un'educazione alla violenza che nasce dalla rassegnazione, dalla banalità del male. Un'educazione alla violenza che permea le strade, i muri, le pietre. Una violenza così, tanto per fare, tanto per essere considerati uomini.
E poi perché, quando arrivi a diciotto anni, hai già una carriera, un curriculum, non sei l'ultimo arrivato.
Cristina Zagaria, non dà giudizi. Cristina Zagaria non si mette nel mezzo del coro di voci del suo romanzo. Cristina Zagaria lo fa parlare e ne annota la disperazione, l'orrore, la voglia di andare avanti comunque.Negli anni Ottanta uscì un bel film sulla realtà napoletana: Blues metropolitano, di Salvatore Piscicelli.
Leggendo Perché no mi è tornato in mente. Perché no riprende i ritmi di Blues metropolitano, ma il tempo passa e la realtà si incarognisce. Blues metropolitano oggi va riletto alla luce di Gomorra. Il tempo è purtroppo passato e la realtà (la banalità della realtà) è diventata semplicemente agghiacciante.
Rido e non m'importa niente di quello che succederà.
Rido con lo stomaco, con la voce della gola che striscia tra i denti, ruvida,
Rido.
L'adolescente timido ora ha completato la sua educazione alla violenza. Ha superato i suoi maestri.
Non c'è più speranza.
Forse.
Un libro.
Perché no, di Cristina Zagaria (Perdisa Pop).
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