La parola è un mezzo. La parola è uno strumento. La parola è un pretesto. La parola è, a volte, anche una chiave per aprire le porte del tempo. Ma di un tempo che va a ritroso, di un tempo che di noi si fa beffe, di un tempo che si diverte a scardinare se stesso e noi, che siamo i burattini inconsapevoli di un teatro della memoria, sul cui palcoscenico crediamo di essere protagonisti, mentre in realtà non sediamo nemmeno in platea.
La parola è un suono. La parola è un lamento. La parola è un ritmo. La parola è un lento incedere che, a poco a poco, accelera sino alla creazione di un maelstrom che inghiotte tutto, lasciandoci con la consapevolezza del nulla. La parola è un ricordo. La parola è una lama di luce. La parola è una lama di luce che apre un varco nel buio delle case, delle chiese, delle pietre e dei muri. Per poi scomparire.
Un suono, una musica, un ritmo che, a poco a poco diviene lamento. Ma lamento accettato, consapevole, messo in conto. Quasi silenzioso. Ci vuole coraggio. Sì, ci vuole coraggio nel descrivere i nostri lati oscuri, mimetizzandoli, annegandoli quasi, nella narrazione della apparente banalità del nostro vivere. Ci vuole coraggio nel guardarli in faccia, sapendo che il nostro destino ultimo sarà quello di essere trasformati in statue di sale. Ma in statue di sale che non trovano la loro ragione d'essere nella reiterazione del mito, bensì nella rarefatta (e perciò non meno inquietante) descrizione di ciò che di inconoscibile e di inspiegabile si nasconde nelle pieghe del nostro divenire. Siamo tutti fantasmi. Fantasmi che cercano di tornare a casa.
Un libro.
Colonia Alpina Ferranti Aporti Nava, di Marino Magliani (Senzapatria).
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