Aggiungo, ormai quasi inconsapevolmente, un'altra tessera al mosaico, forse infinito, della mia schiavitù borgesiana.
Scopro un Borges giovane, incarognito, sprezzante, a tratti irrispettoso, tronfiamente sicuro della giovinezza. E' per me una sorpresa. Non piacevole. Byron diceva di soffrire, osservando la vita, sia nel vedere i giovani ostacolati dai vecchi, sia nel vedere i vecchi oltrepassati dai giovani. E io con lui.
E' necessario uscire. Uscire fuori. E' necessario camminare calpestando la terra dura e gelata che sostiene il teatro nebbioso della mia fredda pianura. E camminando scopri che non esiste un confine definito fra case e campagna. Le abitazioni si infiltrano come avamposti di un'armata conquistatrice e il verde arretra, conducendo una guerriglia fatta di erbacce e zolle sabbiose.
Torno a casa e rileggo Borges: La pampa è unica. Il suo aspetto è sostanzialmente uguale nei luoghi più sperduti: una e indivisibile l'ho vista nei territori governati dal suo nome e nella nostra provincia e in fondo al sobborgo. E' stata nel portico di una fattoria e in tutte la sere perfette(...). Io so che qualsiasi luogo della pampa è la confluenza di tutto il cielo e di tutta la terra(...). La pampa, invece, esiste, la pampa possiede l'onnipresenza facile di Dio.
Sostituisco pianura a pampa. E firmo così l'armistizio che pone fine alla mia piccola e momentanea guerra con il grande argentino.
Un libro.
Il prisma e lo specchio, di Jorge Luis Borges (Adelphi).
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