Ogni tanto capita. Anzi, capita spesso. Sulle strade, ai lati, tra l'erba striminzita che delimita il confine tra l'asfalto e il fosso, sorgono croci, mazzi di fiori, fotografie incorniciate dall'aspetto di ex voto che non hanno rispettato il patto con la divinità. Stanno là, quasi tutte uguali, senza un'apparente storia, se non quella di un vago dolore lontano, che comunque non ci tocca.
Ogni tanto capita. Ma capita di meno. Sulle strade, ma più all'interno, a volte in mezzo a un campo o su una collinetta. Piramidi improbabili, di un grigio tendente al nero. La forma quasi a ricordare un qualche elitario tempio massonico. Parole a ricordo di un evento di polvere e sangue, di divise e fanfare. Anche questo non riguarda ormai che la memoria di pochi.
Accomunate da un sentore di destino violento.
Le prime a testimonianza di una maledizione quotidiana, che riguarda tutti e, nella sua banalità, nessuno.
Le seconde a imperitura memoria di un eroismo pubblico, che comunque non può, e non vuole, prescindere dal sangue.
Così, nel nostro andare quotidiano, nel nostro essere veloci, nel nostro essere di benzina e metallo, incontriamo sulle strade le croci che ricordano i morti degli incidenti stradali e i morti delle battaglie risorgimentali.
Un tributo di sangue che unisce due guerre. Quella eroica che finisce nei libri di storia. Quella banale che, riguardandoci tutti, finisce nell'oblio.
Due film.
Il sorpasso, di Dino Risi.
1860, di Alessandro Blasetti.
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