Una scia di automobili nella notte autunnale. Movimento istintivo di un mammifero meccanico, pluricellulare. Colonna monotona di luci mobili, confusa con la voce monocorde del traffico dati. Onde radio. Voci perse nella notte. Hub d'informazioni. Interessanti. Ottime per addomesticarci e assuefarci alla follia dell'auto. Forse radiotre. Forse Fahrenheit. Argomento accattivante. La vitalità mostruosa del traffico resa accettabile dai suoni articolati della radio. Conclusioni che nascono dalla concretezza di voci che discutono della possibile impalpabilità del web. Tutto ciò che scriviamo, tutto ciò che affidiamo alla rete ha, nelle sue possibilità, anche quella della conservazione? Un flusso costante di affermazioni, un flusso costante di disperata vitalità, percorre un sentiero forse posticcio. Siamo osservatori o osservati? Le voci discutono, ma non hanno risposte. Solo domande. Nel Ciclo della Fondazione, Asimov fa cercare ai suoi personaggi il punto originario di tutti noi. La Terra però non conserva più alcuna informazione. Il nostro esserci affidati con supponenza a supporti eterei ha trasformato il nostro patrimonio di ricordi in un costante e definitivo effetto neve. Perdendo e cancellando ogni memoria di noi. Il traffico della scia luminosa delle auto ci porta via, come ci porta via il traffico dei dati e della ridondanza dei flussi.
Ogni analisi sul nostro tempo, anche la più critica, è forse una componente, magari smaliziata, di questa assuefazione. Come le droghe che assumono i personaggi di Philip Dick. Creatrici dapprima di un universo sintetico, costruito per alleviare, nell'allucinazione, il nostro dolore quotidiano. Nemico mortale poi. Senza appello. Come in Un oscuro scrutare.
La discussione in radio è finita. Rimane un suono costante. Rilassante. Forse.
Rumore bianco.
White noise.
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