Certo, è difficile essere Roberto Saviano. E' difficile confrontarsi con Roberto Saviano, con quello che rappresenta, con ciò che attira e con ciò che respinge.
E' difficile pensare a Roberto Saviano. E' difficile parlare di Roberto Saviano.
Perché è necessario parlare del Roberto Saviano che scrive. Del Roberto Saviano che, come tutti noi, usa la parola e attinge dall'esperienza della condivisione della e nella letteratura.
E' necessario andare oltre gli schematismi. E' necessario andare oltre la definizione, peraltro lusinghiera, ma pur sempre tecnicistica, che di lui viene fatta da Wu Ming in New Italian Epic (Einaudi Stile Libero).
Certamente è affascinante e condivisibile definirlo "oggetto letterario non identificato". E lo è, forse inevitabilmente.
Certo, si può non essere completamente d'accordo con la sua citazione di Ken Saro-Wiwa, relativamente al fatto che lo scrittore deve avere un ruolo attivo e non aspettare il tempo in cui si realizzino le sue fantasie.
Ma credo si debba andare oltre.
Questa sera l'ho seguito su raitre. E l'ho ascoltato. Al di là di tutto. Al di là del mio essere d'accordo o meno con lui. Al di là delle definizioni letterarie e delle citazioni.
E l'ho ascoltato parlare di coloro i quali si sono immolati, anche loro malgrado, anche senza avere per nulla la vocazione al martirio, per l'amore della parola. Della parola e della letteratura. L'ho ascoltato parlare di coloro i quali hanno usato la parola come unica arma a loro disposizione.
Non voglio tirare in ballo definizioni come democrazia o libertà. Voglio solo dire che ho ascoltato Roberto Saviano.
In lui ho visto un poeta. E i poeti dicono la verità. Al di là di tutto e di tutti.
Grazie Roberto.
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