In Francia è definito il roman du terroir e come non sentire l'affascinante assonanza con il termine terroir, che nel mondo del vino sta a definire quell'insieme di fattori (la terra, l'ambiente, il vitigno, ecc. ecc.) che ne plasmano l'anima.
Ne avevo brevemente accennato in un'altra sede e ora ne approfitto per approfondire.
Il roman du terroir rappresenta una forma di espressione narrativa, nata nel mondo francofono, che prende le mosse dal territorio. Ma ha un senso narrare il territorio? E soprattutto ha un senso essere narratori del territorio?
Narrare il territorio, raccontare il territorio non può e non deve essere una rappresentazione solo agiografica, simile ad una guida turistica. Narrare il territorio, essere narratori del territorio ha un senso se l'intendimento è quello di partire dalle proprie radici per raccontarne i sentimenti (di amore, ma anche perché no, di odio) che da quelle radici inevitabilmente sgorgano.
Narrare il territorio, raccontare il territorio non può e non deve essere una diafana descrizione di baluardi indifendibili, apparentemente fermi, in un divenire storico da sempre in movimento.
Narrare il territorio, raccontare il territorio ha un senso solo se questa narrazione si libera da un malinteso senso dell'immobilismo memorialistico, per aprirsi alle contaminazioni: letterarie, di stile, di narrazione, di vita.
Solo così il narratore del territorio saprà sentire (e far sentire) il sapore, l'odore, l'aroma di quella zona di confine che è poi il territorio dell'uomo.
Un premio letterario: Tracce di Territorio.
Un libro: Narratori delle pianure di Gianni Celati (Feltrinelli).
Un dvd: Mondovino di Jonathan Nossiter (Feltrinelli).
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