Hemingway aveva ragione a raccomandare agli scrittori di scrivere solo di ciò che conoscono. Per forza devi scrivere solo di questo. Perché quando scrivi non fai altro che girovagare tra i relitti dei tuoi ricordi, cercando di capire che ognuno di noi vive del proprio passato e nel giudizio degli altri.
La mia terra. Una volta la amavo. Oggi la sopporto. Certo che ne scrivo. Non posso fare altro. E' una coazione a ripetere che trascina ogni storia che invento, finché, in qualche modo, brandelli di quella storia si attaccano alla mia terra.
E allora, ne scrivo.
Mi piace il freddo. Mi piace l'inverno. Mi piacciono la nebbia, la neve, la pioggia.
Ma niente mi da il senso di un'angoscia tranquilla (seppure ineluttabile) come immaginare un primo pomeriggio pesante di afa, in un giorno estivo. Con il pulsare del gracidio delle rane che accompagna il battito del cuore. Con il sudore caldo e appiccicoso che cerca un armistizio nel fresco opaco di una chiesetta di campagna.
La bicicletta appoggiata all'erba alta di un fosso. Il silenzio spettrale spaccato dall'abbaiare di un cane alla catena, magari a un paio di chilometri da lì.
Soltanto allora capisci di essere solo.
Soltanto allora capisci che potrebbe esserci qualcun altro.
Soltanto allora capisci che quell'altro potrebbe essere un nemico.
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