lunedì 17 luglio 2017

La grande Blavatsky, di Francesca Serra (Bollati Boringhieri)

Un fiume carsico di dottrine esoteriche attraversa il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Dottrine che si sono sovrapposte alle mode culturali di fine Ottocento derivate dalla scoperta del misterioso Oriente, dovuta anche all'espansionismo coloniale europeo, e che sono il naturale sviluppo delle teorie del complotto totalizzante che, così attive oggi forse ancor più di ieri, traggono origine dal tentativo di spiegare la rivoluzione francese in termini teologici e millenaristici compiuto dal gesuita francese Augustin Barruel. Quel fiume carsico che ha la sua fonte nel tardo Settecento inevitabilmente non può che ottenere afflussi ulteriori dalle teorie antisemite che si propagano nell'Ottocento per mezzo di libelli redatti ad arte dall'Ochrana, la polizia politica zarista, strumento poliziesco che lentamente affonda nel magma russo fatto di imperatori ormai incapaci di comprendere il proprio impero, di schiere immense di servi della gleba, di mistici violenti e viziosi che assurgono a ruoli di potere. Libelli e teorie complottistiche ad uso sia di reazionari impenitenti che discendono in linea retta dagli incroyables francesi, sia di criptocapitalisti pronti a finanziare al contempo comitati centrali leninisti e corpi franchi dall'ideologia che fonde militarismo prussiano ultraconservatore e allucinazione futurista.
Un nome su tutti ricorre nei testi di chi ha tentato di interpretare questo misterioso palesarsi di teorie e nei proclami di chi queste teorie ha abbracciato: Helena Blavatsky. 
Russa, aristocratica, emigrata come gli emigrati sconfitti a Valmy ma, a differenza di questi, emigrata ben prima che la Russia si trasfigurasse in esperimento antropo-ideologico, quasi a far sorgere il sospetto che lei, la dea del mistero, la profetessa di universi sconosciuti, idolatrata dai suoi seguaci come messia ultimo e odiata dai suoi detrattori come pericolosa truffatrice e ciarlatana in cerca di mezzi finanziari di sostentamento, già conoscesse, per concessione di saggi spettri tibetani, quali sarebbero state le mutazioni politiche del mondo.
Spiritismo, visioni tibetane e caucasiche, apparizioni della Thule, intersecazioni politiche, ideologiche, economiche, potentati mondiali che forse hanno un inquietante retaggio mistico, satanismi in nuce e nazismi magici ancora embrionali, sette esoteriche in cui si incontrano poeti, letterati, membri del parlamento di Sua Maestà e futuri rivoluzionari dispotici; tutto questo misterico caravanserraglio che ha avuto la capacità di condizionare il divenire della storia degli ultimi due secoli del secondo millennio è mirabilmente descritto e decrittato da Francesca Serra in questo interessantissimo saggio/romanzo o romanzo/saggio che scopre il caleidoscopio di connessioni, di coincidenze e di sincronismi che ruota attorno alla figura della Blavatsky.
La genesi di un pensiero occulto, il lento affermarsi di una gnosi laica e già  postmoderna prima ancora che il modernismo trionfasse, vengono in questo libro presentati tra brume londinesi, paesaggi metropolitani nuovayorkesi, porti del Mar Nero, quasi in una salgariana successione di eventi tra loro enigmaticamente concatenati che collegano addirittura, per mezzo del trait d'union teosofico della nobile russa, l'Eroe dei Due Mondi e Adolf Hitler, estremi storici di una linea del tempo che si trasforma in una circolarità di eventi in cui le leggi della fisica perdono ogni efficacia. Arrivato all'ultima pagina il lettore non potrà che chiedersi se la realtà è divenuta illusione o se è quest'ultima invece ad essere sempre stata la sola e unica realtà.
Un libro.
La grande Blavatsky, di Francesca Serra (Bollati Boringhieri).

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