martedì 23 aprile 2013

Il panico quotidiano, di Christian Frascella (Einaudi)

Elementi esternalizzati che si interiorizzano nell’animo, sino a divenire metafore, segni, significati, come quella cecità di Saramago che vulnera l’umanità o quel morbo velenoso di Camus che annichilisce lo spirito di una comunità. Elementi esiziali, paralizzanti che sono messaggeri di ulteriori crepe, di altre fenditure che lentamente frantumano vite apparentemente banali, ma di quella banalità che è sempre anteprima angosciante di futuri orrori. Stimmate definitive di disagi che invalidano e che sono, al contempo, semina e frutto del passato e del presente. Stimmate che vanno però intese in una disanima più ampia, che possa anche allontanarsi dall’effetto apparentemente immediato degli avvenimenti. Christian Frascella con questo Il panico quotidiano scrive e descrive non soltanto il divenire di sofferenze intimamente connesse con l’anima, ma dipinge un affresco dei nostri anni, sapientemente fondendo l’appalesarsi della afflizione coartata nei labirinti interiori dell’io narrante con quella afflizione condivisa e dimorante in modo ancor più palpabile nei rapporti umani e nella rete sconnessa e sfilacciata di una società che non sa garantire più nulla. I personaggi di Frascella sono protagonisti dolenti di una collettività postindustriale in cui la disarticolazione dei rapporti sociali è il riverbero angosciante della disarticolazione dei patti che per decenni avevano regolato il mondo del lavoro. Romanzo industriale quindi, ma non certo nell’ottica di quello che così fu definito, quello che ebbe i suoi narratori in Volponi o in Ottieri. Romanzo industriale contemporaneo, che si affranca dalla semplice descrizione delle dinamiche della fabbrica, perché quella descrizione senso non ne può più avere. Romanzo che riesce a comprendere come la sofferenza tragicamente indotta dalle mutazioni che hanno trasfigurato la classica definizione di “fabbrica” intesa come luogo paradigmatico del lavoro sia passata dalla sua primigenia dimensione sociale, lavorativa, sindacale (condivisa per decenni in un patto sociale che ora non è più), superando i confini di un ambito politico che ha abdicato alla sua funzione di compensatore del conflitto sociale, a una dimensione forzosamente privata. Ed è ormai in quella dimensione privata e individuale che si è spostato quel conflitto che, privo ormai di ammortizzatori collettivi, dilaga distribuendo fratture insanabili in un ambito personale e solipsistico ormai patologizzato senza speranza. La classe operaia non è andata in paradiso e l’operaio Massa non ha più una piazza in cui urlare il suo disagio. Il volantino che annuncia una sciopero è stato sostituito dal bugiardino di una confezione di benzodiazepine.
Un libro.
Il panico quotidiano, di Christian Frascella (Einaudi).

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