mercoledì 27 giugno 2012

#Timira - Intervista a Wu Ming 2 e Antar Mohamed

Nella serata di lunedì 25 giugno, a Pavia, al circolo Arci Via d’acqua, di fronte al naviglio pavese, Wu Ming 2 e Antar Mohamed hanno presentato Timira, introdotti da Mauro Vanetti. Prima della presentazione ho posto alcune domande agli autori.

Qual è stata la genesi di Timira? Come è nata la vostra collaborazione?
Antar Mohamed. La nostra collaborazione inizia nel 2002. Lavoravo come educatore in una struttura psichiatrica e ho conosciuto Giovanni (Wu Ming 2) che era amico di un giovane che viveva là. Nasce proprio allora l'idea di ricostruire la vicenda di Giorgio Marincola, il fratello di Isabella, partigiano assassinato dai nazisti in quella che è stata l’ultima strage in territorio italiano, il 4 maggio 1945.
Nello stesso periodo Carlo Costa e Lorenzo Teodonio stanno lavorando alla storia di Giorgio Marincola e ne parlano a Giovanni. Giovanni me ne parla a sua volta e io inizio a cercare del materiale. Alla presentazione di Razza partigiana, nel 2008, Giovanni incontra Isabella e nel settembre di quello stesso anno inizia a intervistarla. Dai loro incontri nascono 30 ore di registrazione. Nell’autunno del 2009 comincia a nascere la struttura del romanzo. Purtroppo Isabella muore il 30 marzo del 2010. Dieci giorni dopo il funerale chiamo Giovanni per chiedergli che cosa si può fare di tutto quel materiale, di tutte quelle registrazioni. Giovanni chiama l’Einaudi che dà l’ok per andare avanti. Così nasce la nostra collaborazione che porta infine alla stesura di Timira, narrazione che ha in sé l’intento di raccontare la storia di Giorgio e di Isabella in un contesto più ampio.

In tutte le narrazioni che nascono dal collettivo Wu Ming ci sono intersezioni tra il passato e il presente che fanno nascere una sorta di passato/presente che è l’oggettivazione di quello che voi avete definito lo “sguardo obliquo”, quel ritorno al futuro per mezzo del quale il presente viene rivisitato e interpretato alla luce dei flussi storici. Inoltre prestate sempre molta attenzione al backstage operativo della narrazione, quei “titoli di coda” che non sono semplicemente un’aggiunta di note, ma una parte fondamentale della narrazione stessa che, per mezzo loro, prosegue su altri piani. In Timira come si collocano questi ambiti?
Wu Ming 2. Avevamo già deciso l’impostazione con Isabella. Non voleva che quello che stava nascendo fosse considerato come le sue memorie. Pensava che, inteso così, fosse un elemento poco interessante. Abbiamo allora infuso la storia in un presente narrativo che è quello del 1991/92. In quel periodo Isabella ha vissuto il ruolo di profuga in un paese, l’Italia, che allora stava vivendo una profonda crisi politica. Lei non era più stata in Italia dagli anni ’60 e quello che ritrova è un paese irriconoscibile e in questo senso andava raccontata la sua esperienza personale, la sua esperienza di donna in contesti storici e politici difficili. Tuttavia dovevamo andare in cerca di quelle intersezioni di segnali narrativi che possono illustrare meglio il presente attraverso il passato. C’era bisogno di altro. Trovammo grande forza nei documenti. Il lettore ignaro aveva necessità di pezze d’appoggio per capire quello che era stato il passato coloniale italiano. Così abbiamo inserito degli intermezzi documentali. E lentamente ci siamo resi conto che la storia riguardava non solo Isabella, ma anche tutti noi come italiani e che il romanzo non poteva essere scritto che in questo modo, intersecando il piano narrativo, anzi i piani narrativi, quello di Isabella, quello del figlio e quello di chi aveva raccolto il materiale, e il piano documentale.

Il 1991/92 a cui fate riferimento è stato, come avete detto, un momento di grande crisi politica per l’Italia. E non a caso è un periodo immediatamente successivo all’89, anno in cui, con la caduta della cortina di ferro, sono entrate in crisi appartenenze politiche che avevano segnato la storia europea di tutto il Novecento. Come si inserisce Timira in questo contesto? Come intende raccontare quel periodo di profonde mutazioni politiche e ideologiche?
Antar Mohamed. L’appartenenza era anche internazionalità e la crisi di quelle appartenenze ha fatto venire meno proprio il concetto di internazionalità.
Perché la storia di Giorgio Marincola esce soltanto nel 2008? Che cosa ci ha raccontato questa storia? Che la nuova realtà multiculturale è una nuova frontiera, è una nuova sfida. Ma una frontiera e una sfida che già erano presenti nella vita italiana. Giorgio e Isabella sono i primi meticci. L’Italia non ha mai voluto rendersi conto di essere stata meticcia. In questo senso Timira vuole essere una provocazione.
Wu Ming 2. In Timira abbiamo tentato di far capire che la società meticcia è una sfida complessa. Bisogna far capire che è una costruzione articolata, non è un pranzo di gala, non è sufficiente limitarsi ad essere d’accordo. Timira invita a fare i conti con quello che in noi è il sentimento della identità italiana, che è stato plasmato dal fascismo e dal colonialismo. In realtà ognuno di noi non può eludere il problema del fare i conti con paure e stereotipi. Non farci i conti sarebbe troppo semplicistico. Timira cerca di dimostrare la complessità del nostro passato coloniale e di far capire quanto di quel retaggio c’è ancora in noi.

martedì 26 giugno 2012

Borges aveva un Tumblr e CriticaLetteraria


Tra critica e narrativa: Borges aveva un Tumblr, di Angelo Ricci

Difficile circoscrivere questo enhanced ebook in una rigida categoria quale la critica letteraria, in cui - per esigenze di vendita nei book store - è stato un po' forzosamente inserito. Perchè Borges aveva un tumblr (Errant Editions) è molto di più: un contenitore eterogeneo dove frammenti narrativi, riflessioni sulla letteratura, suggerimenti di letture, link e immagini compongono un mosaico sfaccettato e aperto ad approfondimenti, sovrapposizioni, spunti di discussione. Se già col suo precedente ebook L'ossessione per le parole Angelo Ricci sperimentava nuovi percorsi di scrittura e nuove modalità letterarie, in questo più avanzato "oggetto digitale" come lo ha definito il suo editore, troviamo elementi multiformi che non sono - si badi bene - arricchimenti o espansioni delle parole, ma elementi semantici a sè stanti. Così le immagini non illustrano un testo bensì "parlano" al posto delle parole (mi si perdoni la ripetizione) stesse. E i link conducono ad altri luoghi letterari, comunicativi, narrativi.Un libro in continuo divenire e in costante espansione grazie a due propaggini: un tumblr dedicato e un board su Pinterest, che come un gioco di specchi rimbalzano e moltiplicano la forza iconografica e visiva di questa nuova frontiera della scrittura.E mentre si legge, si annotano titoli da approfondire, si sbirciamo blog, siti, tumblr, pare del tutto naturale rimbalzare da un brano di narrativa inedita di Ricci, ad un'analisi dei romanzi che raccontano il Libano di oggi, e poi ancora verso l'osservazione distaccata e sociologica della pornowave che negli anni '60 e '70 elargiva in egual misura trasgressione e cultura. Un percorso labirintico nella migliore tradizione borgesiana, come recita il titolo surreale di questo esempio di nuova letteratura digitale.

Recensito da Carla Casazza


giovedì 21 giugno 2012

Rosa candida, di Audur Ava Ólafsdóttir (Einaudi)

E’ possibile leggere un romanzo e ritrovarsi come immersi nelle atmosfere di un film di Rohmer o di Kieslowski? E’ possibile leggere una storia e rimanere affascinati dalla prosa affilata, come nel Decalogo, e dalla descrizione acuta, e tuttavia mai ostentata, dei sentimenti, come in Racconto d’autunno?
E’ possibile, sì. Ed è possibile leggendo Rosa candida, questa delicata, forte, commovente e intensa storia che ci arriva dall’autrice islandese Audur Ava Ólafsdóttir.
Dal nord Europa non arrivano soltanto detective e hacker impegnati in trame nerissime e in complotti terroristici, ma anche romanzi come questo, romanzi che apparentemente sembrano fuori dal tempo proprio perché, in realtà, segnano quel tempo eterno della vita e dell’universo.
Rosa candida appare quasi come una trasfigurazione della nostra epoca, resa e decritta sfrondando tutta la paccottiglia del superfluo e andando invece al centro nevralgico delle eterne tematiche che agitano l’animo umano.
Creato con grande levità, ma scritto al contempo con mano sicura, Rosa candida è una epifania picaresca, carica di simboli e di citazioni.
Come quei dipinti rinascimentali, nei quali la raffigurazione di ogni scena nascondeva elementi allegorici ed ermetici, così questo bellissimo romanzo funge da allegoria di tutto ciò di cui avremmo bisogno e che forse ci rammarichiamo di non avere mai avuto o di aver perso per sempre.
Questo viaggio di questo giovane ragazzo, questo incontro con le sue insicurezze, questo arrivo in questo monastero a sistemare un roseto millenario, questo abate cinefilo e un po’ disilluso, questo villaggio forse un po’ italiano, questa piccola e tenerissima bambina, questo affresco e questo raggio di luce che trafigge la corolla della rosa istoriata sulla vetrata della chiesa e che va ad appoggiarsi sulla guancia di questa bambina.
Tutto questo è Rosa candida. Leggetelo e potrete anche voi essere testimoni di quel raggio di luce.
Un libro.
Rosa candida, di Audur Ava Ólafsdóttir (Einaudi).

Anteprima Io Donna - Intervista a Letizia Muratori

Ecco l'anteprima dell’intervista alla scrittrice Letizia Muratori, in libreria con il suo sesto romanzo Come se niente fosse. L’articolo uscirà sul numero di Io Donna in edicola da sabato 23 giugno.

Buttate la chiave dei vostri segreti
Una scrittrice porta dentro un peso per anni.
Poi arrivano le amiche, e tutto cambia.
Autobiografia o finzione?
Letizia Muratori, nel suo ultimo libro, non lo dice.
Anche se...
di Assia Baudi di Selve foto di Leonardo Cendamo

Sono pagine che si fanno leggere d’un fiato, grazie alla suspense. Sappiamo che è accaduto qualcosa, che la protagonista ha vissuto un trauma, ma lo tiene segreto. Per scoprirlo tocca sfogliare. Così è la vita: necessita di un tempo di lettura prima di dispiegare il suo significato. Quel che è importante sapere è che «i segreti non li capisci mai a pieno finché non li riveli. Credi di possederli, ma quando li sveli diventano un’altra cosa, si trasformano». Sono le sette
di sera, Letizia Muratori è negli uffici dell’Adelphi a Milano, l’editore di Come se niente fosse. Accende una sigaretta dietro l’altra, ed è felice di parlare proprio qui del suo ultimo libro, il sesto, nel quale uno dei temi centrali è la lettura: i personaggi si riuniscono a Villa Gunther, a leggere i manoscritti inviati dagli aspiranti scrittori alla casa editrice, proprio come quelli che si trovano ora sulla scrivania accanto a lei.

Il libro è scritto in prima persona, la protagonista è una scrittrice, lo ha dedicato a sua madre. Quanto c’è di autobiografico?
Non è tanto il fatto che si parli di uno scrittore. Quel che mi ha fatto capire che c’è qualcosa di autobiografico nel mio libro è che non sono riuscita a trovare un nome per la protagonista. E se gli davo il mio, risultava ancora più falso .

È il non detto, l’incapacità che ha la protagonista di parlare della sua storia, ad appartenerle?
Non rivelo tanto i miei segreti, né tanto li scrivo. Ma so che un segreto non lo capiamo mai a pieno finché non lo sveliamo. E quando lo sveliamo si trasforma in qualcos’altro.

Quel che è accaduto alla protagonista non si può rivelare. Comunque si tratta di un archetipo, di un evento che la sottrae alla sua vita.
È un cambio di stato, che rovescia il punto di vista e a partire da quell’evento, da quell’elemento che uno chiama trauma, avviene il rovesciamento.

La protagonista lo ha tenuto segreto per anni. Ma se lo avesse tirato fuori prima, ora non si ritroverebbe “un
corpo estraneo” addosso, la vita che poteva essere e non è stata.
Non esprimo giudizi: la tempistica è sempre relativa. Non ho mai creduto che ci sia un momento giusto per dire le cose, e questo mi ha sempre procurato guai. Credo al caso, che ti porta a raccontare in un certo tempo piuttosto che in un altro. E credo che l’attimo giusto sia molto meno interessante di quello sbagliato. La protagonista nel mio libro non aveva voglia di raccontare la sua storia finché...

Finché non è arrivato il coro di amiche, durante il corso di lettura.
Sì, l’autobiografia non è una cosa che si può fare da soli. Hai bisogno dell’aiuto più o meno consapevole delle persone
che ti conoscono da una vita e hanno condiviso molto con te. Intorno a me non si è ancora raccolto questo coro. Rivedere la propria vita è come rifare una valigia che non si è chiusa. Devi trovare lo spazio giusto per ogni cosa.

E non è un caso se il “coro” lo incontra durante un corso di lettura.
È un libro che ragiona sull’atto di leggere. E siccome tra le attività umane, l’unica che non riusciamo a vedere completamente è la lettura – ovvero vediamo che qualcuno legge, ma cosa? Come? Qual è il legame tra lettore e libro? Non lo sa nemmeno chi legge - ho dato voce a personaggi che devono interpretare dei vuoti.

La protagonista nel libro si contrappone ad una donna forte, Giacinta Gunther, che è anche la sua “lettrice
ideale”. Chi è la lettrice ideale dei suoi manoscritti?
La cosa più difficile è far leggere ai tuoi genitori ciò che scrivi. Io ho avuto la fortuna che mia madre con il tempo ha raggiunto un certo distacco. Ha un carattere diverso da Giacinta, ma la stessa disponibilità a cadere nella storia. E capacità di giudicarla molto duramente..

Anche lei, magra, da ragazzina era in carne come la protagonista?
Sì, sono stata una bambina cicciottella e ne ho sofferto. Sono dimagrita quando mi sono innamorata, a 12 anni. Come dice Giacinta Gunther,gli innamorati sono sempre magri. Non si dimagrisce perché si soffre, ma per amore. È l’amore di per sé a bruciare calorie.

lunedì 18 giugno 2012

Gli editori italiani e Tumblr

Gli editori italiani non amano Tumblr? Senz'altro ne dimentico alcuni (e attendo segnalazioni in proposito), ma su Tumblr ci sono Elliot, Meridiano Zero, Errant Editions, Indiana Editore, Edizioni Medusa, Historica Edizioni, Giraldi Editore, Lite Editions e altri. Ma, in generale, l'editoria italiana predilige Twitter, a differenza dell'editoria americana che su Tumblr è presente con editori come Scribner (editore di Hemingway e Scott Fitzgerald), Penguin ClassicNorton (che ha in catalogo William Faulkner e Richard Feynman), picador, che ha recentemente rivisitato le copertine dei romanzi di Don DeLillo. Senza contare la presenza su Tumblr del laboratorio di scrittura di Chuck Palahniuk (Litreactor) dove lo staff dell'autore statunitense ha pubblicato nei giorni scorsi un annuncio per cercare un curatore per i profili Tumblr e Pinterest dell'autore di Fight Club.
Twitter forse permette un rapporto più diretto fra editori e lettori, ma Tumblr è una fucina imbattibile per la produzione di contenuti. L'ultima frontiera dell'editoria italiana è Twitter? E Tumblr? La risposta ai responsabili della comunicazione digitale dell'editoria italiana.

venerdì 15 giugno 2012

Anteprima Io Donna - Intervista a Michela Murgia

Anteprima dell'intervista che uscirà sul numero di Io Donna in edicola sabato 16 giugno
         Accendo racconti come faceva mia nonna
“Scrivo per scaldare gli altri” dice Michela Murgia. Che nel nuovo romanzo parla di feste, processioni, piccole rivalità. E di infanzie avventurose. Che non ci sono più
di Anna Maria Speroni, foto di Nicola De Luigi

Sono cresciuta nella convinzione che la Sardegna fosse il centro del mondo, e Cabras il suo piercing. Non ho mai avuto voglia di andare via. Ma una comunità coesa è luogo di contraddizioni: la sbarra che ti sorregge è la stessa che ti rinchiude».
Tre anni fa, con Accabadora, Michela Murgia aveva ammaliato i lettori con una storia ambientata in una comunità «interagente e solidale anche nei segreti». L’incontro (Einaudi), in questi giorni in libreria, di una realtà simile mette in luce le contraddizioni. Lo spunto è autobiografico: «L’incontro è una festa diffusa in tutta la Sardegna: il giorno di Pasqua le statue di Gesù e della madonna vengono portate in due processioni distinte che si riuniscono in un luogo stabilito. Ma una volta, a Cabras, un’inimicizia tra parrocchie complicò l’evento. Io racconto la storia dal punto di vista di un bambino. Il quale, in un’estate che segnerà la sua crescita, capisce che non esiste solo il “noi”: a volte ci vuole anche l’“io”. Quando tutti pensano la stessa cosa, vuol dire che qualcuno non sta pensando. Il romanzo si svolge negli anni ’80, ma il tema della comunità e dei suoi confini è attuale.

A che cosa si riferisce?
Per esempio all’esaltazione di comunità come gruppo autoreferenziale propria del leghismo; a una retorica dell’identità legata all’idea di un nucleo impermeabile che non può fare i conti con l’alterità, pena la sua stessa dissoluzione.

Lei però sembra legata alle sue radici. Sostiene anche il movimento indipendentista sardo.
Sono affezionata a certe dinamiche collettive da cui provengo: il “noi” iniziale della Comunità mi ha segnato. Ma ho imparato a riconoscerne le criticità: non esiste concetto di privacy; ci sono regole precise di normalità; la diversità trova posto con fatica e non sarà mai legittimata se non riesci ad agglomerare attorno a te un microcosmo. E le radici no, quelle ce le hanno gli alberi, l’uomo ha i piedi e deve camminare.

I protagonisti dell’Incontro sono tutti maschi.
Nel mio gruppo di amici ero l’unica femmina, ma nessuno degli altri mi vedeva come tale: mi è venuto spontaneo trasporre i ricordi al maschile.

Ha avuto un’infanzia avventurosa?
Godevamo di margini di libertà favolosi, inimmaginabili oggi. Ormai le avventure si vivono solo alla Playstation.

I genitori sono troppo protettivi?
L’infanzia dovrebbe contenere avventure con un margine di rischio, che non vuole dire rischiare la vita. Con mia madre avevamo un patto, io e mio fratello: potete fare quel che volete ma ogni mezz’ora dovete farvi vedere. In mezz’ora non combinavamo più di tanto; però non ci tenevano in casa per stare tranquilli, un rischio se lo assumevano anche mamma e papà. E non sono venuta su male: ma senza paura di niente, casomai.

In L’incontro, come in Accabadora, c’è il tema dei legami scelti più forti di quelli di sangue. Nel primo tra amici, nel secondo tra genitori e “figli d’anima”, l’usanza secondo la quale i genitori affidano un bambino a un’altra famiglia. Anche lei lo ha voluto, a 18anni. Perché? Che cosa le mancava?
I molti modi in cui potevo essere figlia non stavano tutti nella casa in cui sono nata: di mamma non ce n’è una sola. Non è questione di mancare, ma di che cosa vuoi essere. Il contesto è determinante: non è vero che puoi diventare qualunque cosa, puoi diventare ciò che il contesto ti permette. I miei genitori avevano un’attività commerciale e a loro sembrava impossibile che io potessi fare altro. L’idea che potessi studiare, soprattutto teologia come poi ho scelto, era molto distante dalla loro sensibilità.

Quindi la nuova famiglia l’ha aiutata a proseguire gli studi.
Danilo Dolci (poeta, ndr) diceva:“Ciascuno cresce solo se sognato”. Bisogna che qualcuno ti sogni per come sarai, non solo come sei. La mia famiglia mi aveva sognato com’ero, per come sarei stata ce ne voleva un’altra.

Ha cambiato mille lavori. Il preferito?
Insegnare. Ho adorato i ragazzi, miniere di energie che ti costringono a guardare al futuro con occhi protettivi, da seminatore.

E poi ha cominciato a scrivere. Per caso, ha raccontato.
Per caso e per culo: non ho mai mandato niente all’editore.

E com’è che l’editore si accorse di lei?
Fu Massimo Coppola, direttore editoriale di Isbn (la casa editrice con cui poi pubblicai Il mondo deve saperee conduttore di Avere vent’anni su Mtv. Stava preparando una puntata sull’azienda in cui lavoravo come telefonista, trovò il mio blog. Ed è iniziato tutto. Ho sempre avuto fiducia nelle mie capacità, ma della cosa che forse so fare meglio non mi ero accorta.

Lei non è uno degli autori che scrivono per un bisogno irrefrenabile?
No. Le storie si raccontano se qualcuno te lo chiede. Quando, da bambini, ci sedevamo davanti alla porta di casa c’era sempre uno che, dopo un momento di silenzio, diceva in sardo: “Nonna, accendi il racconto”. Come se fosse fuoco per scaldare gli altri. Questo imprinting mi è rimasto: per me stessa non scrivo nulla.

mercoledì 13 giugno 2012

Gli store dove puoi trovare Borges aveva un Tumblr

Dopo il grande successo di vendite sul Kindle Store, Borges aveva un Tumblr approda in formato epub anche sui maggiori store italiani, grazie all'accordo fra Errant Editions e SbfNarcissus, venendo incontro così alle richieste di molti lettori. Altri store si aggiungeranno e sarete informati.
Puoi acquistare Borges aveva un Tumblr in formato epub qui:
Ultima Books
Net-Ebook
Libreria Rizzoli 
bookrepublic
ebookizzati
omniabuk

martedì 12 giugno 2012

Notti, Ossessioni, Borges e Tumblr

Una mia fedele lettrice che risiede in Inghilterra (su twitter la trovate come @asphodelia)  mi intervista a 360° su tutto quello che ho scritto in questi anni. Sul web il rapporto tra chi scrive e chi legge deve essere diretto. Un conto è dirlo, un conto è farlo. Noi l'abbiamo fatto.
L'intervista è qui e come direbbero quelli che se ne intendono: "enjoy!"

lunedì 11 giugno 2012

Le Poesie Complete di Julio Llamazares

Recensione di Giovanni Agnoloni
da Postpopuli.it


I libri di Amos Edizioni, piccola casa editrice di grande qualità, si contraddistinguono non solo per la bellezza materiale dei volumi, ma per i contenuti d’eccellenza. La raccolta delle Poesie complete di un grande autore spagnolo, Julio Llamazares, a cura e per la traduzione di Sebastiano Gatto (con testi a fronte in castigliano), offre un insight(non a caso uso il termine inglese, perché non c’è un equivalente italiano altrettanto pregnante: forse dovrei dire uno “sguardo penetrante”, ma non renderebbe l’idea) in un intero mondo, non solo nello stile e nella visione del mondo del poeta.

A tutto questo siamo egregiamente introdotti dall’intervista all’autore da parte dello stesso curatore, oltre che dalla postfazione di Llamazares. Che non è solo un autore di versi, va detto. Nella sua produzione lirica, tanto rada quanto essenziale e quasi ermetica, esprime un ricco pentagramma e un intero campionario di sfumature emotive, fatto non soltanto di toni e semitoni, o di colori primari e secondari, ma di microtoni, di sfumature intermedie che danno il senso della profondità e della complessità di un’intera esistenza.
Un tema ricorre come in una follia, nelle poesie di Llamazares. E mi è personalmente vicino, per un motivo che dirò alla fine. Si tratta del suo paese, Vegamián, scomparso sotto un lago artificiale, ma rimasto permanentemente nella sua memoria come un bacino di memorie e di potenzialità inespresse. Tutte le poesie di questo autore sono venate da un senso di “spora sommersa”, in cui suoni e le percezioni sembrano dilatarsi all’infinito, seguendo percorsi ritmico-melodici che attingono alle profondità del suo essere.
Penso alle prime righe della prima poesia della raccolta, da La lentezza dei buoi (pag. 23):
“La nostra quiete è dolce e blu e torturata a quest’ora.
Tutto è lento come il passaggio di un bue sulla neve. Tenero tutto come le bacche rosse dell’agrifoglio.
Il nostro abbandono è grande come l’esistenza, profondo come il sapore dei frutti guasti.
Il nostro abbandono non termina con la stanchezza.
(…)”
Oppure ancora a questo frammento (pag. 35):
“Nessuno conosce la paura meglio di noi.
Siamo venuti dal luogo in cui germinano gli estesi pascoli del niente.
Camminiamo alla cieca tra erbacce di vinco e almanacchi perché siamo bracconieri nei boschi del tempo.
(…)”
Non saprei dire se i versi di Llamazares siano più nostalgici o disincantati. Forse sono una miscela dei due stati d’animo, forse qualcosa di completamente diverso. Vi è, in essi, un senso di profonda musicalità, quasi che questa melodia intima fosse una ragion d’essere bastante a se stessa, senza bisogno di ulteriori qualifiche. Come il suono che sottende a questi versi tratti da una poesia di Memoria della neve (pag. 113):
“Nera pioggia attraversa la notte. Pesantemente avanzano i carri per i campi.
Così è la negazione della mia memoria: come una pioggia nera.
Come una frana di rocce spazzate dall’acqua.”
Dunque alla radice di tutto c’è la natura. Una natura che non è né passata né futura, ma ovviamente compresente a tutto, in un tempo-non tempo, che forse è l’eterno, forse la sua negazione. Tanto che, in una sorta di paradossale affresco garcialorchiano, offre scenari che non ci si aspetterebbe, visioni “fuori stagione” tinte di colori che toccano dentro, lavorando sull’anima di chi legge, in una genuina espressione di “poesia archetipica”. Come in Paesaggio di gennaio (Castiglia) (pag. 173):
“È gennaio e c’è sole in questo pomeriggio freddo e giallo.
È gennaio e c’è sole. E stanno tutti i vecchi come pennellate nere, attaccati alle pareti.
La loro resa è amara come la loro solitudine. La loro solitudine arriva dove arriva il tempo.
Ma cosa aspettiamo, dunque, la misericordia?
Tutto è in ordine: la buia muraglia, gli ultimi sigari tremolanti e i corpi immobili, come pennellate nere contro l’eternità.”
Forse è per tutta questa serie di ragioni che mi sento vicino alle onde emotive evocate da questo autore. Anche perché mi è sempre rimasta impressa la storia del vecchio villaggio di Alleghe, sulle Dolomiti, dove da bambino andavo in vacanza, e che finì sotto una grande frana del Monte Spitz, e poi fu sommerso dal lago. A volte i ricordi personali incidono sulla qualità di una lettura.
Ma io sono propenso a credere che un libro non lo si incontri mai per caso.

Piersandro Pallavicini parla di Romanzo per signora


Romanzo per signora è il tuo quinto romanzo, il quarto con Feltrinelli. Che ruolo interpreta nella tua produzione?
Lo ritengo il mio miglior romanzo, mentre lo scrivevo sentivo che c’era una svolta, che era uno scavalcamento, come se dopo una salita faticosa fossi arrivato in un altipiano. La svolta è verso una scrittura più rilassata, dove non mi pongo più l’obiettivo di stupire, di colpire al fegato. Forse mi sono liberato della sindrome di Peter Pan, ecco. Scrivendo avevo voglia di raccontare, col gusto e il piacere di farlo e di divertire il lettore facendolo. L’obiettivo insomma era fare il possibile per scrivere trasmettendo affetto al lettore.

Molti sono i piani narrativi sui quali fai sviluppare la trama. Il rapporto con i ricordi, il decadimento fisico e la malattia, una visione della provincia, trasfigurata semanticamente anche e soprattutto con il ricorso ai termini dialettali e che diviene paradigma della magmatica confusione dei nostri tempi. Le stesse vite dei personaggi che fai muovere tra un presente che si snoda tra Nizza e Vigevano e un passato, quello dell’io narrante, che si fonde con le vicende della letteratura italiana degli anni Ottanta presagiscono forse una sorta di resa dei conti con il passare del tempo?
Eh sì, in effetti si, credo che abbia a che fare con la fine della sindrome di Peter Pan di cui dicevo più sopra: la maturità mi è piovuta addosso tardi e tutta assieme, e allora mi sono reso conto che dovevo mettere a posto delle cose, mettere in ordine il mio passato, le cose che mi sono state care, che mi hanno formato sin qui.
Il decadimento fisico è qualcosa di cui ho cominciato a rendermi conto da poco. La differenza è che ora è come se stessi perdendo un pezzo alla volta. Un infortunio lascia strascichi. Un malanno non lo supero completamente, ne esco meno forte di prima. La memoria non è più efficiente. Insomma la decadenza è qui, non terribile ma inequivocabile. Allora ho pensato di “lavorarci”, di “ragionarci”, insomma di scriverci su per cominciare a confrontarmici sul serio, proiettandomi nei momenti in qui tutto ciò sarà incombente, assillante, oppressivo.

In Romanzo per signora è presente, quasi sottotraccia, mimetizzata con la narrazione, una forte e pregnante analisi della letteratura italiana degli ultimi vent’anni del secolo scorso, che conduci con riferimenti a movimenti letterari, libri e autori reali. Un’analisi che riporti poi alla finzione narrativa con la figura inquietante e inquieta di Leo Meyer e con l’inserimento di un romanzo nel romanzo (non diciamo di più per non svelare altro a chi deve ancora leggere il tuo libro). E inoltre voglio ricordare anche le intense, toccanti e veramente commoventi parole che scrivi nella dedica ai tuoi amici scrittori. Le domande a questo punto sono due: cosa rappresenta Leo Meyer e quanto c’è in questo romanzo della tua esperienza di scrittore?
Leo Meyer è una controfigura (abbastanza riconoscibile) di PierVittorio Tondelli. Non è lui, perché ha un percorso e una vita diversa, e soprattutto una personalità molto meno amichevole e generosa di PVT, ma ci sono moltissimi e voluti punti di contatto (l’esordio nei primi 80 con un romanzo generazionale, l’essere gay, il diventare il “rappresentante ufficiale” di una generazione…). Mettiamola così: è un mio omaggio a Tondelli, ma senza la protervia di spingersi a rappresentarlo tal quale, parlando davvero di lui. E gli ho reso omaggio perché PVT è stato lo scrittore grazie al quale ho iniziato a leggere Letteratura (la “elle” maiuscola non è un mistyping) e grazie al quale ho acquisito la consapevolezza di poter e saper scrivere.
Delle mie esperienze di scrittore, invece, c’è davvero poco. C’è qualcosa delle mie esperienze di lettore, piuttosto, e cioè una parte della narrativa che ho amato, e parlo senz’altro di quella degli anni 80, ma anche della tradizione recente italiana, quella dei 50-60 (tanto che anche ad altri autori viene dedicato un omaggio diretto, in parte anche stilistico, e penso soprattutto a Piero Chiara). Però c’è poi molto altro, una specie di “storia” della narrativa (ed editoria) italiana dai 50 a oggi, ma vista dagli occhi di chi ci ha lavorato dentro, cioè Cesare, io narrante, che è stato direttore editoriale in “casa editrice”. Voglio dire che il suo modo di vedere le cose (libri, autori, gusto e giudizi di valore) non coincide necessariamente con il mio.

Moltissime sono le citazioni soprattutto stilistiche con cui rendi omaggio ai tuoi autori preferiti. Ce ne vuoi parlare? Magari dando un aiuto ai tuoi lettori per identificarle? E che importanza hanno avuto questi autori nella tua formazione letteraria?
Ecco, come dicevo nella risposta precedente: ci sono omaggi più o meno palesi, talvolta veri e propri cameo, che  mi sono molto divertito a infilare ovunque.
Per esempio un paio di capitoli hanno un tono e un gusto molto alla Piero Chiara (penso a quello  in cui Cesare ricorda le gite sul Ticino con la Franca, da studenti). Di Chiara si cita anche un racconto (Il fungo trifola). Ci sono citazioni (qualche riga, non di più) di battute tipiche di P.G. Wodehouse (peraltro attribuite anche nel testo al suo autore, esplicitamente). Leo Meyer si chiama come il protagonista di Camere Separate di Tondelli. Pepita Scintilla e l’editor Bourguignon che convivono nella stessa pagina sono un hommage a un personaggio indimenticabile (Pepita Bourguignon appunto) de La Carta e Il Territorio di Houellebecq. E le altre (moltissime) ve le lascio trovare…

Un’ultima domanda. Mino Milani una volta mi disse che lui a scrivere si divertiva moltissimo, mentre un giorno ascoltai Sebastiano Vassalli affermare che lui invece non si divertiva affatto. E tu?
Mi diverto quando scrivo di qualcosa che mi piace. Con Romanzo per signora mi sono divertito quasi sempre, sono poche le pagine “necessarie” alla costruzione. Il resto è tutto un raccontare che esce dal cuore. E credo che questa felicità, questo piacere lo senta anche il lettore. E’ come una buona fragranza che sale dalle pagine. 


(Pubblicato anche su La poesia e lo spirito)

giovedì 7 giugno 2012

Pinterest per scrittori

Sono su Pinterest da un po' di tempo. E' stata una scelta dettata soprattutto dalla curiosità. Poi, con Errant Editions, abbiamo deciso di configurare meglio la nostra presenza. Ed è nato il board tematico dedicato al mio nuovo ebook Borges aveva un Tumblr. Abbiamo iniziato a inserire qualche notizia, qualche immagine e poi, quasi senza rendercene conto, il board ha cominciato a vivere di vita propria, trasfigurandosi da contenitore a work in progress. Lo storytelling dell'ebook si è arricchito di nuovi contenuti, presi non solo dall'ebook stesso, ma dalle storie che gli stanno intorno, ispirandoci giorno per giorno alla creazione di una storia più ampia. Il board è andato oltre lo storytelling dell'ebook, diventando narrazione circolare, infinita e storytelling autonomo, che dal contenuto dell'ebook sta percorrendo una nuova strada. Mi rendo conto che Borges aveva un Tumblr, attraverso questa narrazione nascente da Pinterest, sta iniziando a staccarsi anche da me che l'ho scritto. Da me, che sono soltanto un cantastorie e che, con Borges, sono infatti convinto che tutte le storie siano già state raccontate.

sabato 2 giugno 2012

Borges aveva un Tumblr (Errant Editions)

Ogni storia, ogni narrazione è parte di una storia e di una narrazione più grande. Alla fine del 2011, dopo la pubblicazione de L'ossessione per le parole, Francesca Mazzucato mi propose di pensare a un altro lavoro che, sempre in formato ebook, avrebbe visto la luce nel 2012. Sono passati solo pochi mesi da allora, ma nel mondo dell'editoria digitale, con i suoi sviluppi che si espandono esponenzialmente, sembrano essere passati anni. E in questi mesi ho avuto modo di di consolidare una mia impressione e cioè che l'ebook avrebbe potuto essere realmente soggetto narrativo solo creando una nuova forma di narrazione. La stessa scrittura cambia nell'era digitale. Diviene più frammentaria, più acuta, più essenziale proprio perché conscia di essere una parte di narrazioni che non prevedono soltanto la scrittura. Ogni testo digitale si fonde con le piattaforme (la fissità degli stone gardens, la ridondanza dei social network, l'esaustività personale dei blog) e con gli strumenti (pc, iPad, tablets, smartphones) al punto da raggiungere forse una ignota commistione tra software e hardware, dove svanisce il punto di separazione tra i due e dove diviene evanescente il confine tra letteratura, storytelling e stream infinito e in cui la finzione e la realtà diventano categorie interscambiabili. Siamo tutti parte ormai di un'interfaccia alla Dr. Adder o di un'interzona alla Burroughs. La scrittura, l'ebook, la narrazione possono (devono?) raccontare tutto questo, (con)fondendosi con lo stream infinito. Ed è questa la sfida più affascinante che la scrittura digitale si trova di fronte.
Ecco perché è nato questo mio nuovo ebook, Borges aveva un Tumblr (edito da Errant Editions).


Cito dal sito di Errant Editions.

Qualche tempo fa è uscita la versione  “frammento” di questo nuovo “oggetto digitale” di Angelo Ricci . Ha avuto un notevole successo scalando le classifiche nella sezione “Critica”. Ma è davvero solo critica letteraria?  No. Si tratta di qualcosa di più, di complesso, di circolare, sperimentale, che non fornisce conclusioni ma propone strade, ipotesi, apre. Allarga. Spazi, percorsi, epifanie. Un testo liquido. Che cattura senza rimedio in un intricato labirinto. Scrive Ricci:
“In questo senso mi
piace parlare di oggetto narrativo digitale.
Un oggetto narrativo digitale che parte dal Web e
che nel Web ritorna, in un rapporto di creatività
liquida e circolare. E non mi riferisco solo alla
ipertestualità, ma alla narrazione volutamente
sgranata, dove l’apparente mancanza di punti di
riferimento è il punto di riferimento.
Pensiamo a quella vera e propria forma di
racconto che, da più di vent’anni, Enrico
Ghezzi conduce sul mezzo televisivo. Frammenti
filmici e visivi, a volte strutturati e altre volte
volutamente privi di ogni riferimento narrativo e
tecnico, dove il documentario e il film si alternano
a brani di pellicole sfocate e sgranate. Una
sequenza che a poco a poco assurge a racconto
autonomo. E, in quel gioco di specchi che forse è
anche questa intervista, ecco che riappare lo
sguardo di Borges.”
Il testo ve lo presentiamo adesso, è disponibile su Amazon, nel Kindle Store e, nei prossimi giorni in tutti gli store on line. Lo presentiamo perché possiate, intanto, vederlo. Leggendolo, in qualche punto, sembra quasi di toccare un nocciolo di letteratura, stream, pensiero, analisi. Solo per un istante. Ne parleremo ancora. Ma è un’uscita che abbiamo preparato con cura e aspettavamo.
Esiste un tumblr che affiancherà il percorso del testo, questo ed esiste un board su Pinterest al quale verranno aggiunti passaggi, cartelli indicatori, bussole e segnali, man mano.
L’ebook contiene immagini e ipertesti.