giovedì 22 settembre 2011

Intervista a Lele Rozza

Lele Rozza, laureato in filosofia, ha gestito aziende, profit e no profit. 
Si occupa di organizzazione e comunicazione strategica. E' docente di scrittura per l'impresa e storytelling presso Fondazione Milano e direttore editoriale di Blonk, casa editrice digitale nata lo scorso luglio.
Da autore ha firmato, con Mario Andrigo, il saggio Le radici della 'ndrangheta edito da Nutrimenti.

Cosa significa fare l’editore oggi in un panorama, come quello italiano, che vanta record negativi di lettura? È più una scommessa o una missione?
Direi che è senz’altro una scommessa. Non è una missione di sicuro, ci stiamo divertendo e non vogliamo convertire nessuno.

A prima vista mi sembra che Blonk, la startup di cui sei direttore editoriale, si presenti quasi come una sorta di “community” che ricorda certe realtà digitali del nuovo continente, piuttosto che la classica casa editrice che tutti conosciamo. Anche la struttura operativa, aperta e flessibile, può contribuire a comprendere meglio, a sondare meglio, il territorio inesplorato dell’editoria digitale?
Ci siamo posti il problema di interpretare un mercato liquido. Abbiamo scelto di non avere certezze e di tenere le orecchie tese. Abbiamo deciso di non fare finta che ci fossero dei solidi business plan a cui aderire.
Abbiamo deciso che era il momento opportuno per entrare in un mercato in rapidissima evoluzione. Nessuno di noi sa cosa potrà succedere nei prossimi anni e chi prova a dichiararlo con sicumera secondo me rischia di raccontare bugie.
Abbiamo scelto di avere una struttura leggerissima perché alle spalle non ci sono investitori e perché effettivamente il web consente una enorme quantità di strumenti che sono liberamente disponibili.
Sappiamo che il nostro ecosistema è il web e quindi, abbastanza naturalmente, è lì che cerchiamo le nostre proposte.
Il meccanismo sembra piacere e quella che tu chiami community si è formata da sola, sull’onda di una proposta leggera.

In Che fine faranno i libri? (edito da nottetempo) Francesco M. Cataluccio (ex direttore della Bruno Mondadori) parlando dell’ereader esordisce, in modo bonariamente provocatorio, così: Ho qui accanto a me il “nemico”. Una scatoletta grande come un libretto tascabile, inaspettatamente leggera, del colore incerto di un’alba invernale. È un oggetto piuttosto elegante e sottile: appena 9 millimetri di spessore. Le sue dimensioni sono 20x12 centimetri. Lo schermo è grande 6 pollici con risoluzione 600x800 a 16 toni di grigio. In pratica la stessa luminosità della carta. Che ne pensi?
Io come amo dire sono un bibliomane. Il libro feticcio è una cosa di cui non vorrei fare a meno. Il punto è il tipo di utilizzo che si fa delle cose.
Credo che potermi portare un pezzo significativo della mia biblioteca dentro il kindle (visto che tra l’altro sono sempre in movimento sui mezzi pubblici) sia un enorme vantaggio. Poter acquistare il libro che mi serve in qualsiasi momento è molto utile.
Poter avere in pochi etti una scelta letteraria vasta che mi accompagna nelle mie giornate è molto sexy.
Ci sono dei libri di carta che sono impensabili in ebook.
Ci sono dei libri di carta che potrebbero essere tranquillamente ebook, che sono talmente belli che mi piace averli di carta lo stesso.
Non credo si andrà verso la completa sostituzione, l’ebook è uno strumento in più, in molti casi enormemente competitivo, in altri decisamente insufficiente.
Credo anche che l’attuale epub (il formato con cui si presentano gli ebook) sia un passaggio verso forme più compiute. Lo stesso dicasi per i reader.
Siamo all’anno zero, e così come internet negli anni ‘90 era cosa molto diversa da quello a cui siamo abituati, anche gli ebook subiranno una trasformazione rapida.

Quale sarà il rapporto tra l’editoria digitale e quella cartacea? Ci aspetta un futuro totalmente digitalizzato o i due modelli sono destinati a convivere?
Propendo per la seconda ipotesi, magari con forme di specializzazione.

Rosamaria Loretelli in L’invenzione del romanzo (edito da Laterza) afferma che è stato il passaggio dalla lettura ad alta voce (che dall’età classica ci ha accompagnato, attraverso il Medioevo, fino al Seicento) a quella silenziosa, con il pensiero, a provocare il cambiamento epocale dello stile narrativo. Gli autori, divenute obsolete le tecniche narrative che prevedevano la declamazione di fronte a un pubblico, hanno lentamente mutato lo stile creativo arrivando al concetto di romanzo come lo intendiamo oggi. Credi che anche il libro digitale possa portare a una qualche mutazione della narrazione? Gli autori, magari inconsapevolmente, si accingeranno in modo diverso alla creazione di un testo pensato per il digitale?
E’ possibile. Non credo che sia il formato ebook a determinare questo cambiamento.
La fruizione con la parola scritta è cambiata molto negli ultmissimi anni.
Internet ci ha riportato alla scrittura e alla conseguente lettura. E’ la stessa internet, con i ritmi convulsi e l’overload informativo a cui siamo esposti, a indurre cambiamenti nel modo di cercare di raggiungere il pubblico, qualsiasi esso sia.
Immagino che questo potrebbe essere il motivo del cambiamento di modalità espressiva.
A me il gusto di leggermi le atmosfere lente dei narratori Russi o i tempi lunghi de Il deserto dei Tartari di Buzzati rimane anche in ebook.

Nelle dichiarazioni programmatiche di Blonk ce n’è una che mi ha colpito molto. Dichiarate infatti di voler fare libri senza attrito, cioè eliminando tutte le scorie legate al rapporto con librerie, distributori, rese, tutta la classica filiera editoriale. Una produttività leggera che si affranca da tutta una serie di zavorre che, spesso, rappresentano un grave problema anche dal lato strettamente imprenditoriale. Ma questa “leggerezza del bit” può diventare, alla lunga, insostenibile? Come si pone un editore digitale di fronte al problema della necessaria conservazione della propria produzione? I supporti digitali non sono troppo evanescenti? Non subiscono l’eccessiva mutazione tecnologica che rende obsoleto oggi quello che, solo ieri, sembrava innovativo?
Sinceramente non lo so. Immagino che si farà tesoro degli errori del passato, quindi la standardizzazione dei formati e il software open source consentiranno di non “perdere” il passato editoriale.
Alla rapida obsolescenza abbiamo fatto ormai il callo, tutti noi viviamo internet da molti anni e sappiamo che bisogna essere attenti e seguire le evoluzioni. Speriamo di essere in grado di interpretarle.

C’è in rete un grande dibattito sul self-publishing. A parte il fatto che un autore che volesse autoprodursi non potrebbe comunque fare a meno di quegli elementi destinati a rendere il suo ebook professionalmente presentabile e quindi dovrebbe, per forza di cose, fare riferimento a strutture e persone esperte, credi che questo tipo di autoproduzione possa essere una reale alternativa per chi ha un’opera nel cassetto?
Ci sono casi di grande successo, che come sempre accade fanno notizia, allo stesso modo ci sono milioni di aspiranti autori che contribuiscono al rumore della rete.
Esperienze come lulu.com ne sono un esempio.
Io stesso quando pubblico libri lo faccio con altri editori, trovo importante il confronto con il direttore editoriale prima e con l’editor poi. Non si può sostituire, credo, il rapporto professionale con l’amico competente che però difficilmente effettua una vera stroncatura (quando necessaria), è una questione di vantaggio reciproco.
Il direttore editoriale analizza la bontà del testo e la sua vendibilità.
Io quando ricevo un manoscritto lo valuto con attenzione e ne valuto la bontà letteraria e il valore commerciale. Nel valore commerciale è intrinseco anche il valore dell’opera. Se persone sono disposte ad investire in un'opera è perché qualche forma di valore c’è, diversamente è tempo buttato per tutti, per lo scrittore, per l’editore e per i lettori, senza alcun vantaggio per la “cultura”.
Ovviamente le grandi operazioni a cui ci hanno abituato gli editori di carta con un grande nome in copertina (magari mutuato dalla TV) e un testo scritto da un ghost writer sottopagato, non rientrano nei casi di specie analizzati.
Chi intraprende l’esperienza del self publishing deve sapere che la promozione è un elemento fondamentale (e anche la fortuna). Promuoversi su internet vuole dire conoscerne i linguaggi e le modalità di azione.

La piccola e media editoria svolge un grande lavoro di scoperta di nuovi autori, lavoro che la grande editoria fa ormai solo di rado. Credi che l’editoria digitale possa svolgere questa funzione di scouting, di ricerca di nuovi narratori? Se uno scrittore perfettamente sconosciuto, senza alcun seguito sul web o sui social network, vi presentasse un buon testo, lo pubblichereste?
Lo pubblicheremo!
Lo scouting è molto interessante. Esiste, credo, una grande quantità di valore nelle persone che raccontano storie, spesso senza alcuna velleità di pubblicazione.
Noi cerchiamo storie che valga la pena di raccontare. Quando le troviamo le pubblichiamo, a prescindere dal nome dell’autore e dal suo posizionamento SEO.
Speriamo anche di invogliare i cosiddetti “grandi” autori a pubblicare con noi. In generale finiamo per trattarli meglio dell’editoria tradizionale.
I nostri testi vengono tradotti in 2 lingue oltre all’italiano e sono sul
web, avendo quindi un numero di clienti potenziali simile, se non maggiore di quello delle grandi case editrici.
Offriamo ai nostri autori una percentuale significativa sugli utili e li vincoliamo per soli 5 anni.
Crediamo che gli autori, che sono il vero cuore dell’editoria, debbano essere facilitati, sostenuti e promossi.

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