Ci sono sguardi che, per nostra fortuna, hanno la rara capacità di penetrare la luminosità artefatta di una luce accecante, permettendoci così di comprendere che, al di là di essa, non c’è altro che il buio più profondo. Felici e sfruttati...sì, siamo tutti felici e sfruttati. Prigionieri del rutilante mondo della Rete, che, come il pifferaio di Hamelin, ci lusinga e attrae con il suo suono, siamo convinti di essere protagonisti di un’eterna produzione di contenuti e di condivisioni. Siamo convinti di apparire come autori di un’infinita narrazione che ci illude di esserne gli artefici principali, mentre non siamo altro che marionette i cui fili sono mossi dalle sapienti mani delle major di internet, che ci usano (noi) per produrre traffico e incassare (loro) guadagni altissimi, dopo aver trasformato internet in un luogo di social network chiusi, che fanno strame della nostra privacy, e motori di ricerca monopolistici. Come significativamente scrive l'Autore: Google esalta l’ideologia dei contenuti self generated e aizza l’odio del popolo della rete nei confronti dei professionisti dell’informazione, perché questi sentimenti fanno sì che gli utenti contino sempre di più sui suoi servizi, nell’illusione di rendersi autonomi dal potere delle élite intellettuali, mentre in questo modo finiscono al contrario per dipendere da un’unica fonte di conoscenza, una conoscenza embedded nella tecnica che li trasforma in una disciplinata massa di soldatini che alimentano il core business della società di Mountain View.
Dall’alba dell’umanità la ricchezza dei pochi è stata creata dallo sfruttamento dei molti. Ma è la prima volta che questi molti accorrono entusiasti, offrendo gratuitamente la loro forza lavoro, ricevendone in cambio, tutt’al più, una veloce menzione nei titoli di coda di questo film, nel quale rivestiamo soltanto il ruolo di comparse.
Dall’alba dell’umanità la ricchezza dei pochi è stata creata dallo sfruttamento dei molti. Ma è la prima volta che questi molti accorrono entusiasti, offrendo gratuitamente la loro forza lavoro, ricevendone in cambio, tutt’al più, una veloce menzione nei titoli di coda di questo film, nel quale rivestiamo soltanto il ruolo di comparse.
L’analisi di Carlo Formenti ha il pregio di analizzare questo stato di cose, cercando di farci prendere coscienza (sì, proprio a noi che scriviamo e leggiamo e condividiamo sulla Rete) che quello che facciamo sul web, i contenuti che produciamo, richiedono tempo e creatività e, di conseguenza, vanno considerati ben più di un semplice passatempo. Inoltre, anche se di semplice passatempo si trattasse, dovremmo tutti essere ben consci che i nostri risultati vanno a rimpinguare le casse delle società che controllano i motori di ricerca e che si arricchiscono dandoci in cambio soltanto un fugacissimo protagonismo. Ma il problema non è solo quello; non sono certo i famosi "quindici minuti di popolarità" di warholiana memoria. Se qualcuno ritiene di farlo come divertimento, hobby, passione partecipativa o condivisione di interessi comuni, ben venga. Tuttavia la Rete è diventata anche un luogo dove, in base ad una serie di mutazioni epocali che hanno riguardato la struttura stessa del mondo del lavoro, si esercitano (o si è costretti a esercitarle, a causa della sbornia propagandistica della new economy) ormai anche attività lavorative che fanno riferimento alla creatività in tutte le sue forme. Ed ecco dove si individua il punto debole di tutta la struttura del rapporto fra internet e i gli utenti del web. Il lavoro creativo sulla Rete è sostanzialmente sottopagato (nella migliore delle ipotesi), oppure è la Rete stessa che diviene vetrina virtuale dove mettersi in mostra per far vedere cosa si è capaci di fare, nell'attesa (che raramente si concretizza) che qualcuno ci noti. Un po’ come i braccianti di un romanzo verista, che vanno la mattina presto sulla piazza del paese, aspettando che il "caporale" li valuti, tastandone la forza dei muscoli. Ma questa vetrina si trasforma presto in un’attesa eterna con in più il corollario forzoso della continua produzione di contenuti, alla quale sono costretti coloro che aspettano una chiamata, obbligati a questa estenuante produzione gratuita per non perdere visibilità nel virtuale mercato del lavoro che somiglia ad un reale mercato delle vacche. Produzione di contenuti che, intanto, va comunque ad arricchire (di contenuti e di soldi) le major internettiane che questi contenuti veicolano ottenendone ricavi miliardari. Formenti straccia il telo fintamente damascato che copre una vera e propria campagna propagandistica, con i suoi araldi e i suoi guru che, da posizioni libertarie sono passati a quella che l’Autore definisce posizione anarco-capitalista, dove una finta libertà sbandierata ai quattro venti ha l'unica funzione di rappresentare la foglia di fico ideologica che copre l'arricchimento senza controllo dei pochi ai danni dei molti. Una campagna che prende le mosse da lontano e che ha saputo creare un vero e proprio consenso di massa, trasformando il concetto di libertà della Rete in strumento destinato prima a distruggere le dinamiche del rapporto impresa/lavoratori e poi a creare masse di sfruttati, diventati strumento inconsapevole del loro stesso sfruttamento.
Tempo fa, scrivendo di World Wide We, mi sembrava, proprio alla fine della recensione, che un problema, comune a tutti noi che siamo immersi nel web 2.0, rimanesse comunque irrisolto: ed era quello di capire da quale parte dell'interfaccia ci trovassimo. Leggendo questo saggio di Carlo Formenti ho finalmente compreso da quale parte ci troviamo: da quella sbagliata.
Un libro.
Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro, di Carlo Formenti, (Egea).
Nessun commento:
Posta un commento