-Tutte le storie finiscono nei libri. E' il loro destino.-
E come uno storyteller, uno di quelli che Jack London incontrava nelle sue peregrinazioni e dai quali comprava i canovacci per pochi dollari, così Sebastiano Vassalli ci racconta una storia. Ma non è una storia qualsiasi quella che ci racconta. Perché le sue parole, la sue frasi, il suo narrare apparentemente ingenuo, ma profondamente indagatore, ci appartiene. E ci appartiene perché racconta di noi, di quello che siamo stati e di quello che siamo e saremo. L'inchiostro nel quale intinge la sua penna non è semplicemente un banale composto chimico. Perché quell'inchiostro è il nostro DNA. Quell'inchiostro è il DNA di un'intera nazione. Non è possibile non ritrovare se stessi in questo romanzo. Perché tutti i personaggi li abbiamo prima o poi incontrati e, cosa più importante, li abbiamo incontrati nelle storie dei nostri padri, dei nostri nonni, delle nostre famiglie. C'è una apparente leggerezza nel narrare di Vassalli; leggerezza che rende ancora più terribile le sofferenze degli uomini e delle loro vite; leggerezza che rende ancora più definitiva e senza appello la loro infinita sopportazione. Sopportazione: ecco la parola chiave. Non c'è provvidenza, non c'è destino, non c'è condanna o salvezza. C'è solo una grande, infinita, fortissima sopportazione.
Come un cronista medievale, Vassalli osserva e trascrive le vite degli uomini e delle donne, infuse sempre in quella che è la loro terra. Sono i monti, le valli, la pianura che, da sfondo immobile, si trasfigurano in un paesaggio con un'anima, in un paesaggio dell'anima. E quell'anima è indissolubilmente unita alle anime di chi quei monti, quelle valli, quella pianura abita.
Il tempo, inevitabilmente, porta tutto con sé. I ricordi, le gioie, le sofferenze. Porta con sé persino le tradizioni e le memorie.
Ma quei monti, quelle valli, quella pianura saranno sempre là. Qualunque cosa accada.
Un libro.
Le due chiese, di Sebastano Vassalli (Einaudi).
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