sabato 9 gennaio 2010

La sposa d'Italia

Una volta c'era più nebbia. Nella città in riva al fiume (quella della mia giovinezza universitaria) l'arancione notturno dell'illuminazione pubblica la faceva apparire di un ruggine opaco. Nella spericolata e ingenua notte da matricola mi apparve su un muro una scritta, fatta con la vernice rossa: La sposa d'Italia in viaggio di nozze tradita dal suo entusiasta pubblico è. Promette vittoria vittoria vittoria. Juve Juve Juve.
Passione calcistica? Tifo? Certo. Ma qualcosa di irreale se non di claustrofobico, per non dire tragico, era nascosto in quell'elucubrazione ubriaca. L'urlo di un folle che straparlava di una sposa tradita e per di più in viaggio di nozze, apriva la porta ad un mondo inquieto, se pur banale, di faide e di orrori quotidiani.
La città in riva al fiume è stata per me (e lo è tuttora) un ricettacolo di storie inquiete da raccontare.
I portici dell'università, umidi di freddo d'inverno e torridi di calore d'estate, nascondono un museo di reperti anatomici che invita al tranquillo orrore della scienza ottocentesca, fatto di morte, di etere, di carrozze nere e bastoni col pomello d'avorio.
Un sottile filo rosso (rosso come il sangue) univa (e unisce) per me, tutto ciò a quella scritta sul muro.
Ci sono passato davanti qualche tempo fa. La scritta non c'era più. Qualcuno (o qualcosa) l'aveva cancellata.

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