Io in Romagna ci sono stato. Una volta, qualche anno fa. Non mi ricordo neanche più il perché. Ma non era estate. Era inverno, subito dopo l'Epifania. Nevicava perfino un po'.
Mi ricordo una città. Di plastica. Forse era Riccione. Ma non so. Non sono più sicuro.
Il mare era senza colore e girava poca gente. Le nubi erano di un rossiccio smorto e la sabbia della spiaggia sembrava grigia. Tutta la città sembrava grigia.
Tutti i colori, delle facce, delle case, dei pensieri, erano quelli lì.
Mi viene in mente un teppistello. Con la faccia del bambino, ma del bambino che tortura i gatti e poi, senza emozione, spiega agli amici il perché. E lo trova anche, il perché. E gli amici lo stanno ad ascoltare. Perché chi comanda è lui.
Mi vengono in mente pomeriggi senza il giallo del sole, nella sala fredda ed enorme di un ristorante semideserto e senz'anima, costruito lì, sulle fondamenta, come per caso. Ma per un caso sbagliato.
Mi viene in mente la faccia sfatta di chi si riunisce e si diverte per forza, ma poi non è nemmeno capace di odiare. E sa solo piangere. Per la rabbia del suo fallimento irreversibile.
Mi viene in mente un nome: Molecola.
Mi viene in mente un avvocato fallito. C'è sempre un avvocato fallito. Anch'io, quando scrivo, metto sempre, da qualche parte, il personaggio di un avvocato fallito. Chissà perché.
Un libro.
Snack Bar Budapest, di Marco Lodoli e Silvia Bre (Einaudi).
Un film.
Abissinia, di Francesco Ranieri Martinotti.
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