Quella lettera greca che segna e denomina geograficamente la foce del Nilo, il Delta, delimita con la metropoli de Il Cairo lo scenario di questo romanzo di Sonallah Ibrahim in cui millenarie mutazioni portano oggi alla definizione di una narrazione che si snoda nell’Egitto contemporaneo attraverso le tre presidenze di Nasser, di Sadat e di Mubarak, trinità politica che demarca i decenni in cui si sviluppano le vite quotidiane dei personaggi.
Zhat, figura femminile con tutte le sue gioie, i suoi dolori, le sue aspettative e le sue delusioni opera come delicato fulcro di una storia in cui la forte ironia dell’Autore scopre lentamente il manto propagandistico della storia politica, portando alla luce la fatica di vivere in una realtà complessa, caratterizzata dai contrasti religiosi, dagli arcaismi sociali ancora presenti, dal peso del neocolonialismo economico, dalla presenza della corruzione politica e burocratica. Zhat è prima bambina, poi ragazza, poi donna matura con marito e figli e parenti insopportabili e vicini ingombranti e compagni di lavoro supponenti, in un caleidoscopio di strade, di quartieri prima residenziali e poi fatiscenti, alle prese con la perenne crisi economica che deturpa il bilancio familiare e le aspettative future e con il rapporto forse amaro con un marito che si arrende alla vita mentre lei continua, malgrado tutto, a combattere. Con una narrazione che ricorda la grandezza onnicomprensiva di Dostoevsky e il tragico umorismo di Gogol, Sonallah Ibrahim segue l’intreccio delle vite, lo scorrere del tempo, la circolarità di avvenimenti che forse sono destinati a non avere mai un futuro di redenzione. Tra ogni capitolo si innestano brevi comunicati stampa di accadimenti sociali, politici, di corruttela, di prevaricazione di multinazionali statunitensi ed europee, di leader politici e religiosi che perseguono i loro privati interessi ammantandosi di propagandistici e artefatti proclami per il bene della nazione e dell’Islam, comunicati stampa che fondono la corposità di un romanzo che ricorda i classici dell’Ottocento con la rivoluzionaria tecnica del romanzo postmoderno, in una unione narrativa che trasfigura il romanzo stesso in specchio della società che racconta. Le stagioni di Zhat è romanzo sì, ma anche e soprattutto strumento di comprensione del mondo arabo, un mondo con cui da sempre l’Occidente deve confrontarsi.
Fernand Braudel definì il Mediterraneo una “pianura liquida”. Leggere Sonallah Ibrahim ci permette di comprendere cosa si cela ai confini islamici di questa pianura.
Un libro.
Le stagioni di Zhat, di Sonallah Ibrahim (Calabuig).
martedì 13 ottobre 2015
Le stagioni di Zhat, di Sonallah Ibrahim (Calabuig)
lunedì 12 ottobre 2015
Leggere è più bello di scrivere
Tanti sono i laboratori di scrittura ma pochi sanno che una buona lettura è condizione indispensabile per una buona scrittura. La lettura è un'arte raffinata e per questo vi segnalo questo interessante laboratorio di lettura.
martedì 6 ottobre 2015
Il viaggio, di Murray Bail (Calabuig)
Una mirabile ibridazione tra significati, sentimenti, narrazioni, tra mitteleuropa e Australia, in una sorta di avvicinamento (quasi) impossibile tra mondi, parole, storie. La luminosa arsura di un deserto australiano che sta ai confini del mondo, colonizzato da città e abitanti che sono il ricordo di un passato che si è forse perso nel futuro e la racchiusa magnificenza di una Vienna che ospita le rimembranze di un passato di Felix Austria trasmutatosi con dolore accorto in quella Finis Austriae che Joseph Roth raccontò con tristezza assoluta e analitica, si confrontano, si osservano, si cercano, intuiscono una possibilità di comprensione che va oltre i confini, le città, le nazioni. Ambientazioni di un vecchio mondo a volte astioso nella difficile convivenza con splendori antichi che sono ormai passati inesorabilmente, a volte immerso suo malgrado nella interpretazione sofferta di autori come Thomas Bernhard, palazzi che contengono l’affastellamento di ricordi dal valore sentimentale e anche patrimoniale che improvvisamente si arresta di fronte a stanze dalla postmoderna asetticità, scenari che si fondono con gli stessi personaggi che quelle mura abitano. Un viaggio a bordo di una nave mercantile che ricalca rotte contemporanee che attraversano luoghi del colonialismo ottocentesco dalle reminiscenze europee, reminiscenze che comunque sono ai due stessi estremi di questo viaggio che è anche viaggio conradiano alla scoperta, o meglio, alla ricerca di una definizione, impossibile forse, di quella linea d’ombra che accompagna la vita di ogni essere umano. Un viaggio costellato dalle interpunzioni di tempi narrativi che si intrecciano come una partitura musicale. E l’oggetto atavico di un pianoforte rinnovato nella sua tecnica ai confini del nuovo mondo ritorna, per una nemesi delle cose prima ancora che della storia, al vecchio mondo che in lui si rispecchierà e giungerà alla negazione, comunque impossibile, di tutto il suo passato per mezzo di una performance dai toni delilliani e bolañiani in cui la distruzione dell’oggetto è catarsi impossibile di un intero continente che non riesce a emendarsi dalla sua storia. Forse solo l’amore che unisce un uomo e una donna rimane come eterno avvertimento che un embrione di speranza è possibile, sempre.
Murray Bail scrive un romanzo particolare, interessante, che riesce in quella difficoltosa missione di rappresentare il punto Omega in cui l’immenso si unisce all’attimo e che è forse la missione ultima della letteratura.
Un libro.
Il Viaggio, di Murray Bail (Calabuig).
Murray Bail scrive un romanzo particolare, interessante, che riesce in quella difficoltosa missione di rappresentare il punto Omega in cui l’immenso si unisce all’attimo e che è forse la missione ultima della letteratura.
Un libro.
Il Viaggio, di Murray Bail (Calabuig).
mercoledì 16 settembre 2015
Epepe, di Ferenc Karinthy (Adelphi)
Dall’immaginifico giacimento letterario mitteleuropeo Adelphi scopre questo affascinante e misterico labirinto linguistico e fonetico in cui lemmi e fonemi divengono protagonisti dell’eterno e babelico caos dell’umanità.
La prefazione è di Emmanuel Carrère e, of course, va oltre i confini della prefazione classica per traslarsi essa stessa in opera che si allega al resto di questo romanzo che lo stesso prefatore definisce con deferenza “strano”. Visione profetica? Saggio? Pamphlet dai toni settecenteschi? Non va dimenticato il contesto geopolitico in cui Ferenc Karinthy scrive questo Epepe, l’Ungheria dei primi anni Settanta, repubblica popolare del blocco sovietico ma che da sempre, memore del mito dei terminali fasti asburgici da josephrothiana felix Austria che diventa finis Austriae, è “la baracca più allegra del gulag”. E da luogo squisitamente mitteleuropeo costretto a fare i conti con quella eterna vocazione alla dominazione euroasiatica di tutto ciò che si affaccia alle sue marche orientali, la sua capitale Budapest diviene epicentro della sanguinosa rivolta antisovietica del 1956 ed Epepe non può non essere inteso, nelle intenzioni del suo Autore, come visione futuristica di ciò che è già stato e al contempo profezia di ciò che sarà poi nel 1989, dalle folle pacifiche che violano l’immarcescibile e berlinese Checkpoint Charlie, al fuoco che avvampa gli interni di palazzi sedi di polizie politiche nella carpatica Bucarest.
La tradizione letteraria, e filmica anche, che nasce al di là della churchilliana cortina di ferro negli anni di ferro della guerra fredda, si è sviluppata nonostante le fatiche ideologiche e i pericoli polizieschi ed Epepe, con quella sua apparente immagine di libro distopico, è al contempo summa e frammento, immagine e riflesso di una distopia che forse è stata più reale della realtà.
Un libro.
Epepe, di Ferenc Karinthy (Adelphi).
La prefazione è di Emmanuel Carrère e, of course, va oltre i confini della prefazione classica per traslarsi essa stessa in opera che si allega al resto di questo romanzo che lo stesso prefatore definisce con deferenza “strano”. Visione profetica? Saggio? Pamphlet dai toni settecenteschi? Non va dimenticato il contesto geopolitico in cui Ferenc Karinthy scrive questo Epepe, l’Ungheria dei primi anni Settanta, repubblica popolare del blocco sovietico ma che da sempre, memore del mito dei terminali fasti asburgici da josephrothiana felix Austria che diventa finis Austriae, è “la baracca più allegra del gulag”. E da luogo squisitamente mitteleuropeo costretto a fare i conti con quella eterna vocazione alla dominazione euroasiatica di tutto ciò che si affaccia alle sue marche orientali, la sua capitale Budapest diviene epicentro della sanguinosa rivolta antisovietica del 1956 ed Epepe non può non essere inteso, nelle intenzioni del suo Autore, come visione futuristica di ciò che è già stato e al contempo profezia di ciò che sarà poi nel 1989, dalle folle pacifiche che violano l’immarcescibile e berlinese Checkpoint Charlie, al fuoco che avvampa gli interni di palazzi sedi di polizie politiche nella carpatica Bucarest.
La tradizione letteraria, e filmica anche, che nasce al di là della churchilliana cortina di ferro negli anni di ferro della guerra fredda, si è sviluppata nonostante le fatiche ideologiche e i pericoli polizieschi ed Epepe, con quella sua apparente immagine di libro distopico, è al contempo summa e frammento, immagine e riflesso di una distopia che forse è stata più reale della realtà.
Un libro.
Epepe, di Ferenc Karinthy (Adelphi).
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giovedì 10 settembre 2015
Il terzo numero de Il Colophon
E' da ieri online il terzo numero de Il Colophon. Rivista di letteratura di Antonio Tombolini Editore, diretta da Michele Marziani. Il tema di questa volta è Il segreto del bosco vecchio e il motivo e il suo svilupparsi li spiega qui il direttore.
In questo numero scrivo di Sebastiano Vassalli, intervisto Silvana Sperati, presidente dell'Associazione Bruno Munari e recensisco Pesca alla trota in America e Il caviale del Po.
Buona lettura!
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venerdì 14 agosto 2015
Ferragosto con la Trilogia della Pianura
Ferragosto, data italicamente determinante e definitiva. Hai l'urgenza di una lettura? Sei al mare o in montagna o in collina, campagna, agriturismo, città d'arte, isole sperdute e solitarie? Non devi nemmeno andare in libreria, che poi a Ferragosto sono chiuse o magari nemmeno ci sono nel posto in cui ti trovi. Hai con te il tuo ereader? Ottimo! E' sufficiente collegarsi alla rete e alla libreria digitale che preferisci, che hai già frequentato, che ti fa uno sconto o che ti dà magari dei punti premio, e scaricare la Trilogia della Pianura in formato mobi o epub, tutti e tre i libri o, se vuoi, uno o due, poi vedrai tu se ti piace proseguire nella lettura. Sei libero di fare quello che vuoi, tranquillamente. Garantisce la collana Officina Marziani di Antonio Tombolini Editore.
Che dire di più? Buon Ferragosto!
Che dire di più? Buon Ferragosto!
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libri che ho scritto
lunedì 27 luglio 2015
Oggi la pianura è triste. In morte di Sebastiano Vassalli
Sebastiano Vassalli l'avevo incontrato cinque anni fa, a Pavia, in occasione di un seminario sull'editoria. Era in compagnia di Roberto Cicala, editore di Interlinea e suo profondo amico. Mia madre stava morendo e io, con la mia povera fede riposta nei libri, ero andato ad assistere a quell'incontro nella speranza di ottenere un momento di requie dalla mia disperazione. Gli avevo fatto avere la mia recensione del suo Le due chiese e lui mi disse che l'aveva già letta, inoltratagli dall'ufficio stampa di via Biancamano e che ne era rimasto molto contento. Ma la dissezione temporale degli avvenimenti mi fa ricordare ora che l'avevo già incontrato a Voghera, un anno o forse due prima, in occasione del conferimento del Premio Jean Giono, in quella cittadina oltrepadana che, come la Lomellina e Novara, era uno dei territori di "nuovo acquisto" del Piemonte dopo la pace di Utrecht del 1713. Ed è proprio quella pianura che da Novara scende verso il Po, attraversando la Lomellina, con la ferita aperta e longitudinale dell'Agogna, a diventare il buen retiro dove Vassalli, genovese di nascita, si era rifugiato, tra gli odori del riso e le nebbie della pianura novarese, in quella posizione dell'anima che avrebbe poi descritto in due fondamentali libri editi da Interlinea, Terre d'acque. Novara, la pianura, il riso e Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo.
Nella terza parte (La parte degli editori) della mia trilogia de La parte di niente, che è in attesa di pubblicazione, c'è anche lui e, per quelle intersecazioni dei destini che solo i libri sanno dare, ho consegnato qualche giorno fa la mia recensione de La chimera, che uscirà nel numero di settembre de Il Colophon. Rivista di letteratura di Antonio Tombolini Editore.
Oggi la pianura è triste. Che la terra ti sia lieve Sebastiano Vassalli, scrittore immortale.
Nella terza parte (La parte degli editori) della mia trilogia de La parte di niente, che è in attesa di pubblicazione, c'è anche lui e, per quelle intersecazioni dei destini che solo i libri sanno dare, ho consegnato qualche giorno fa la mia recensione de La chimera, che uscirà nel numero di settembre de Il Colophon. Rivista di letteratura di Antonio Tombolini Editore.
Oggi la pianura è triste. Che la terra ti sia lieve Sebastiano Vassalli, scrittore immortale.
lunedì 20 luglio 2015
Traslochi, di Hebe Uhart (Calabuig)
Non solo Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Silvina Ocampo appartengono all’iconico universo della narrazione della pianura argentina e della sua genesi umana e letteraria che è Buenos Aires, città metaletteraria con il lunfardo e le vicende metafisiche di suoi porteňos. Altre visioni che coniugano pianura, metropoli e feedback narrativi tra anime e luoghi appaiono ora al lettore italiano. Calabuig, editore che sta compiendo un meritorio lavoro di scoperta di autori stranieri, lavoro ottimo anche dal punto di vista della traduzione, porta ora alla nostra attenzione Traslochi di Hebe Uhart. Autrice di racconti, forma espressiva che è caratteristica e segnale di quella brevità calvinista (nel senso dell’Italo Calvino delle Lezioni Americane) da sempre frutto della letteratura di quel Sudamerica che è fucina di storie letterarie che vanno spesso al di là dei loro stessi autori, la Uhart si esprime con Traslochi in un racconto lungo che varca la soglia del romanzo breve, diventando un unicum narrativo che risplende di rara capacità letteraria. Una saga familiare si scinde in altre saghe ancora, declinando quel lessico tragico e sognante che tracima nell’ossessione forse onirica di quel delirio che è orma, traccia della sofferenza umana. Nascite, morti, matrimoni, costruzioni e riattamenti di abitazioni, di stanze, di corridoi, aperture e chiusure di porte, finestre, delimitazioni di confini, di cortili, di proprietà si snodano in un divenire in cui le pietre e i laterizi, la calce e il cemento, si trasfigurano in potentissimi simboli freudiani della costruzione e al contempo della destrutturazione dell’inconscio collettivo di un destino, di una collettività, di una nazione che si sviluppa come luogo di immigrazione nascente dal sanguinoso e sanguinante confronto tra autoctonie amerinde, depositarie di millenarie sapienze, e conquiste europee custodi di apparati militari ed economici.
L’apparente linearità delle vicende che definiscono quest’opera si trasforma in via di accesso estremo che conduce il lettore oltre i semplici confini della quotidianità, accompagnandolo verso la complessa e mai conclusa definizione di un mondo che riflette se stesso e le sue eterne contraddizioni. La Buenos Aires borgesiana è qui sempre solo accennata, fondale mitico di speranze e delusioni, fortezza misterica che si staglia sullo sfondo di questi territori senza tempo, dipinti con i colori di una dolce dannazione pittorica che costruisce se stessa su inquietanti linee delimitate da luci e da ombre, da case e da deserti, da ossessioni e accettazioni dolorose, compiute e vissute con la stoica pazienza che si forma solo dalla sopportazione della durezza delle esistenze.
Traslochi non è soltanto una storia, bensì una vera e propria mappa della vita e dell’anima, mappa redatta con l’eterna forza di quella letteratura che soltanto il Sudamerica ci ha saputo dare e seguita ancora oggi a darci, con i suoi magici scrittori assisi nell’attesa di quell’eterna risposta celata nelle costellazioni dell’emisfero australe.
Un libro.
Traslochi, di Hebe Uhart (Calabuig).
L’apparente linearità delle vicende che definiscono quest’opera si trasforma in via di accesso estremo che conduce il lettore oltre i semplici confini della quotidianità, accompagnandolo verso la complessa e mai conclusa definizione di un mondo che riflette se stesso e le sue eterne contraddizioni. La Buenos Aires borgesiana è qui sempre solo accennata, fondale mitico di speranze e delusioni, fortezza misterica che si staglia sullo sfondo di questi territori senza tempo, dipinti con i colori di una dolce dannazione pittorica che costruisce se stessa su inquietanti linee delimitate da luci e da ombre, da case e da deserti, da ossessioni e accettazioni dolorose, compiute e vissute con la stoica pazienza che si forma solo dalla sopportazione della durezza delle esistenze.
Traslochi non è soltanto una storia, bensì una vera e propria mappa della vita e dell’anima, mappa redatta con l’eterna forza di quella letteratura che soltanto il Sudamerica ci ha saputo dare e seguita ancora oggi a darci, con i suoi magici scrittori assisi nell’attesa di quell’eterna risposta celata nelle costellazioni dell’emisfero australe.
Un libro.
Traslochi, di Hebe Uhart (Calabuig).
martedì 14 luglio 2015
Anatomia del best seller, di Stefano Calabrese (Laterza)
Best seller, definizione magica che, come un programma dalla struttura multiforme e forse un po’ invasiva, è installato da sempre nel database universale del panorama editoriale e letterario.
È un programma frendly, che può essere d’aiuto, oppure è un malware difficile da estirpare e che confonde dati e aspettative?
Per i tipi di Laterza è appena uscito Anatomia del Best seller. Come sono fatti i romanzi di successo e il suo autore, Stefano Calabrese, redige un report esaustivo a proposito di questa definizione impegnativa. Dall’analisi delle classifiche internazionali dei libri più venduti, che prendono le mosse dall’azione più o meno nascosta dei giganti mediatici degli States (luogo germinativo, a torto o a ragione, di tutto l’immaginario contemporaneo che declina se stesso ormai con l’idioma anglosassone) alla nascita di quei casi che, come la saga di Harry Potter o le contaminazioni complottistiche di Dan Brown, passando attraverso le ossessioni di Murakami Haruki e senza tralasciare le ridondanze vampiresche e le sfumature più o meno grigie, il lettore trova nella lettura di questo saggio tutto quello che avrebbe voluto sapere sulla fabbrica dei best seller e anche di più.
Ma leggendo Anatomia del best seller si comprende soprattutto quale sia ormai il sottofondo produttivo che, come un fiume carsico pynchoniano che scorre nelle profondità di una metropoli bladerunneriana, l’Autore scopre e pone all’attenzione del lettore attento. Siamo ormai lontani non solo un paio di secoli ma addirittura anni luce dalle factory letterarie alla Dumas che, assiso su una poltrona nel suo Château de Monte Cristo, creava trame infinite dettandole a schiere di collaboratori e scrivani, i famosi “negri” di Dumas, ma siamo anche lontanissimi dalle equipe di ricercatori che circondano Ken Follet e le sue giacche di tweed (la prima, del valore di un migliaio di sterline, acquistata con i proventi del suo primo, neanche a dirlo, best seller), o dalla reiterata pesca d’altura e dai safari estenuanti di Hemingway. Perché ormai il brodo primordiale in cui si uniscono gli enzimi e le cellule che portano alla genesi dei best seller del terzo millennio trova le sue radici nella rete, nel web, nei social, nelle community in cui i lettori e i fan si trasfigurano a loro volta in autori di prequel, sequel e spin-off di altri best seller o nelle confraternite di sceneggiatori hollywoodiani costretti a una momentanea disoccupazione dalla chiusura anticipata di un serial, un brodo primordiale in cui e di cui le major dell’editoria globalizzata sono spettatrici e creatrici al contempo. Una sorta di universo contaminato e contaminante in cui le figure del lettore e dell’autore si fondono, come in una tassonomia letteraria bolaňiana (e, d’altra parte, i maligni sostengono che lo stesso successo dello scrittore cileno sarebbe stato pianificato da agenti letterari nordamericani, cosa che, comunque, sarebbe ancor più bolaňiana di Bolaňo).
Attenzione però, non è che tutto ciò che vive e prospera in questo universo in espansione porterà le dolci stimmate dei venti o trenta o quaranta milioni di copie vendute. Sarà necessaria l’attenzione e di un gruppo editoriale globalizzato e globalizzante, occorreranno interventi di editor dal tocco alla Re Mida, bisognerà creare nelle aspettative dei lettori la necessità di quell’opera, un po’ come faceva Steve Jobs, geniale demiurgo dell’urgenza di occorrenze non necessarie, senz’altro un combattivo team di pubblicitari dovrà far nascere impazienti attese centellinando notizie sui media, ma il primo istante di questo big bang editoriale nascerà dal quel Tempo di Planck che si cela nei segreti di uno storytelling che vive al di là dei suoi stessi creatori e dei futuri autori di best seller.
Così come nel mondo delle comunicazioni telefoniche da anni il brand primario non è più quello delle compagnie di TLC, bensì quello delle softwarehouse domiciliate a Cupertino e dintorni, o nella piovosa Seattle o nella postbellica penisola coreana, così nel mondo editoriale globalizzato l’autore rimane celato dietro le quinte del vero brand che è ormai il titolo della sua opera una volta diventata best seller.
Lunga vita quindi ai best seller e lunga vita anche a quei lettori che avranno la capacità di andare oltre il best seller di turno, magari scrivendone uno.
Un libro.
Anatomia del best seller. Come sono fatti i romanzi di successo, di Stefano Calabrese (Laterza).
È un programma frendly, che può essere d’aiuto, oppure è un malware difficile da estirpare e che confonde dati e aspettative?
Per i tipi di Laterza è appena uscito Anatomia del Best seller. Come sono fatti i romanzi di successo e il suo autore, Stefano Calabrese, redige un report esaustivo a proposito di questa definizione impegnativa. Dall’analisi delle classifiche internazionali dei libri più venduti, che prendono le mosse dall’azione più o meno nascosta dei giganti mediatici degli States (luogo germinativo, a torto o a ragione, di tutto l’immaginario contemporaneo che declina se stesso ormai con l’idioma anglosassone) alla nascita di quei casi che, come la saga di Harry Potter o le contaminazioni complottistiche di Dan Brown, passando attraverso le ossessioni di Murakami Haruki e senza tralasciare le ridondanze vampiresche e le sfumature più o meno grigie, il lettore trova nella lettura di questo saggio tutto quello che avrebbe voluto sapere sulla fabbrica dei best seller e anche di più.
Ma leggendo Anatomia del best seller si comprende soprattutto quale sia ormai il sottofondo produttivo che, come un fiume carsico pynchoniano che scorre nelle profondità di una metropoli bladerunneriana, l’Autore scopre e pone all’attenzione del lettore attento. Siamo ormai lontani non solo un paio di secoli ma addirittura anni luce dalle factory letterarie alla Dumas che, assiso su una poltrona nel suo Château de Monte Cristo, creava trame infinite dettandole a schiere di collaboratori e scrivani, i famosi “negri” di Dumas, ma siamo anche lontanissimi dalle equipe di ricercatori che circondano Ken Follet e le sue giacche di tweed (la prima, del valore di un migliaio di sterline, acquistata con i proventi del suo primo, neanche a dirlo, best seller), o dalla reiterata pesca d’altura e dai safari estenuanti di Hemingway. Perché ormai il brodo primordiale in cui si uniscono gli enzimi e le cellule che portano alla genesi dei best seller del terzo millennio trova le sue radici nella rete, nel web, nei social, nelle community in cui i lettori e i fan si trasfigurano a loro volta in autori di prequel, sequel e spin-off di altri best seller o nelle confraternite di sceneggiatori hollywoodiani costretti a una momentanea disoccupazione dalla chiusura anticipata di un serial, un brodo primordiale in cui e di cui le major dell’editoria globalizzata sono spettatrici e creatrici al contempo. Una sorta di universo contaminato e contaminante in cui le figure del lettore e dell’autore si fondono, come in una tassonomia letteraria bolaňiana (e, d’altra parte, i maligni sostengono che lo stesso successo dello scrittore cileno sarebbe stato pianificato da agenti letterari nordamericani, cosa che, comunque, sarebbe ancor più bolaňiana di Bolaňo).
Attenzione però, non è che tutto ciò che vive e prospera in questo universo in espansione porterà le dolci stimmate dei venti o trenta o quaranta milioni di copie vendute. Sarà necessaria l’attenzione e di un gruppo editoriale globalizzato e globalizzante, occorreranno interventi di editor dal tocco alla Re Mida, bisognerà creare nelle aspettative dei lettori la necessità di quell’opera, un po’ come faceva Steve Jobs, geniale demiurgo dell’urgenza di occorrenze non necessarie, senz’altro un combattivo team di pubblicitari dovrà far nascere impazienti attese centellinando notizie sui media, ma il primo istante di questo big bang editoriale nascerà dal quel Tempo di Planck che si cela nei segreti di uno storytelling che vive al di là dei suoi stessi creatori e dei futuri autori di best seller.
Così come nel mondo delle comunicazioni telefoniche da anni il brand primario non è più quello delle compagnie di TLC, bensì quello delle softwarehouse domiciliate a Cupertino e dintorni, o nella piovosa Seattle o nella postbellica penisola coreana, così nel mondo editoriale globalizzato l’autore rimane celato dietro le quinte del vero brand che è ormai il titolo della sua opera una volta diventata best seller.
Lunga vita quindi ai best seller e lunga vita anche a quei lettori che avranno la capacità di andare oltre il best seller di turno, magari scrivendone uno.
Un libro.
Anatomia del best seller. Come sono fatti i romanzi di successo, di Stefano Calabrese (Laterza).
mercoledì 8 luglio 2015
Il secondo numero de Il Colophon
E' online da pochissime ore (e completamente gratuito) il secondo numero de Il Colophon. Rivista letteraria di Antonio Tombolini Editore, rivista diretta da Michele Marziani. Ogni numero della rivista è tematico. Questa volta il tema è "La traversata di Milano", dedicato alle visioni letterarie della metropoli lombarda.
In questo numero intervisto Antonio Moresco e Giorgio Scianna e recensisco L'Adalgisa di Carlo Emilio Gadda e Dies Irae di Giuseppe Genna. Inoltre Milena Miazzi scrive una bellissima recensione di Sette sono i re.
Buona lettura!
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