martedì 31 gennaio 2017

L'ultima notte del Rais, di Yasmina Khadra (Sellerio)

Romanzare la storia, decifrare gli avvenimenti politici attraverso lo strumento della narrazione è cosa che da sempre trova dimora nella letteratura. Di un romanzo può essere storico lo sfondo, scenografia sulla quale altri personaggi si muovono, può essere storico il divenire della trama che si trasfigura e si fonde a volte con il saggio. La storia è il grande palcoscenico sul quale la letteratura mette in scena le sue narrazioni che spesso diventano interpretazione e coscienza critica. Complessa è invece l'arte di mimetizzarsi nella volontà di un personaggio storico. Il pericolo è che il narratore non sfugga a stereotipi o manierismi. Questo non succede a Yasmina Khadra, nom de plume femminile dello scrittore algerino Mohamed Moulessehoul. L'ultima notte del Rais descrive il crollo di un regime attraverso il punto di vista di chi di quel regime è stato fondatore e incarnazione. I momenti ultimi di ogni dittatura sono paradigma dei sentimenti più crudi degli esseri umani. Momenti in cui la fedeltà, il tradimento, la violenza, la sopraffazione si stendono come un sudario di morte sulle anime dei protagonisti e spesso il ruolo dei carnefici e quello delle vittime si fondono in un'atavica ordalia le cui definizioni si perdono nell'alba dei tempi, incise a fuoco tra le oscurità del cervello rettiliano che vive nelle menti degli esseri senzienti come elemento che precede e vive prima di ogni evoluzione.
La cosiddetta primavera araba che agli inizi degli Anni Dieci del Terzo Millennio scosse, e scuote ancora, il Nordafrica e il Medio Oriente è un avvenimento ancora misterioso, difficile da analizzare, in cui legittime richieste di democrazia si sono fuse con strumentalizzazioni eterodirette, con interessi economici di stati e superpotenze, con conati neocolonialisti e interessi petroliferi, mischiati a guerre sante che sembrano organizzazioni criminali e organizzazioni criminali che sembrano guerre sante, terrorismi a volte creati ad arte e antiterrorismi che di quei terrorismi si nutrono, in una planetaria strategia della tensione in cui le parti del torto e della ragione si fondono in un grande gioco in cui i vincitori sono sempre gli artefici del caos.
In questo scenario appare Mu'ammar Gheddafi, colto nell'attimo della fuga, nel momento della disfatta, nell'istante del crollo sanguinoso del suo governo; solo, circondato da pochi fedeli, braccato, ammorbato dal fetore della morte prossima ventura. Modello narrativo di ogni dittatore ritratto nel momento in cui viene gettato nella polvere, il Gheddafi di L'ultima notte del Rais è ectoplasma politico, carnefice ora trasformato in vittima, burattinaio che ha tragicamente perso l'arte di muovere i fili, costretto ora nel ruolo di morente marionetta che alla fine sembra addirittura trasfigurarsi nel palesamento ultraterreno di una santità blasfema, sfigurata e oltraggiosa che unisce a sé tutto l'orrore del mondo. L'onniscenza narrativa generata dal punto di vista dell'autore non è mai fine a se stessa ma diviene qui strumento per analizzare, comprendere, sezionare le dinamiche eterne e sempre uguali del potere. L'ultima notte del Rais non è solo un romanzo, ma è anche congegno, chiave, grimaldello necessario che va ben oltre la presbite analisi storica e la miope analisi politica e giornalistica e apre uno spazio narrativo nuovo che, nel confronto inevitabile con le analisi coeve, diventa invece imprescindibile. Netto negli stilemi e essenziale nella dinamica ci fa ricordare che spesso l'aspetto meno scontato della letteratura, quello che Roberto Bolaňo definiva pericolosità, è l'unica possibilità che abbiamo per comprendere il mosaico ingannatore della realtà.
Un libro.
L'ultima notte del Rais, di Yasmina Khadra (Sellerio).   

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