domenica 15 marzo 2015

Il mezzo, forse e per fortuna, non è più il messaggio.

Non vorrei lanciarmi in previsioni azzardate, ma credo che tutto ciò che è letteratura (spesso anche ottima) creata in questi attimi attraverso gli spazi delle coeve timeline senza respiro sia destinata a trasformarsi in produzione che ha colonizzato sì una variante spaziotemporale (e qui sta il suo ineludibile merito), ma che diverrà, o è già diventata, soltanto un ricordo narrativo, certamente importante, come il dadaismo o il futurismo. 
Pensare in questo medesimo istante quantistico che Twitter o Facebook o Tumblr o Pinterest possano fare la differenza per la letteratura è come pensare la stessa cosa nel 1900 a proposito del telefono o del telegrafo o della luce elettrica. 
La letteratura vive al di là dei suoi stessi supporti. Come scrisse Edward M. Forster in Aspetti del romanzo non c’è differenza alcuna fra l’Homo Sapiens che per la prima volta, in una notte rischiarata dalla luce di un falò, sulla parete di una caverna dipinse le scene di caccia a cui aveva assistito nel pomeriggio precedente e l’essere senziente che batte sulla tastiera di una Remington del 1920 o, si può aggiungere, sulla tastiera di un pc in questo scorcio di Terzo Millennio.
Come è scritto nel sito dello Slow reading: Un libro è una storia conclusa in se stessa, un ragionamento, o un’unità conoscitiva che richiede almeno un’ora per essere letto. Un libro è completo, nel senso che contiene un inizio, un nucleo centrale, e una fine. In passato veniva definito libro qualsiasi cosa stampata tra due copertine. Una rubrica telefonica era un libro, benché priva secondo logica di un inizio, un cuore e una fine. Una pila di pagine bianche rilegate veniva chiamata sketchbook (letteralmente: libro per gli schizzi, nel senso di album). Per quanto sfacciatamente vuoto, aveva due copertine, e rientrava perciò nella definizione di libro. Oggi le pagine di carta di un libro vanno scomparendo. Quel che resta al loro posto è la struttura concettuale di un libro – una certa quantità di testo tenuta assieme da un tema, in un’esperienza che richiede un certo tempo per essere completata. (…) Non potremmo porre il periodo, o il paragrafo, o il capitolo, anziché il libro, come unità elementare di una biblioteca universale? Può darsi. Ma la forma lunga ha una sua specifica forza. Una storia in sé completa, una narrativa unificata, un argomento concluso esercitano una strana attrazione su di noi. C’è come una naturale risonanza che produce una rete tutt’attorno. Possiamo spezzare i libri nelle loro parti costitutive e risaldarli nel web, ma il focus dell’attenzione si appunterà sempre sul più elevato livello di organizzazione del libro, essendo questo l’oggetto scarso della nostra economia. Un libro è una unità dell’attenzione.
Forse per la prima volta possiamo contraddire l’assioma di Marshall McLuhan e affermare che il mezzo non è il messaggio e avere la libertà di non applicare in letteratura la dittatura filosofica del positivismo alla Comte.

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