mercoledì 4 giugno 2014

Una bella recensione al mio primo romanzo Notte di nebbia in pianura (Manni)

Il mio primo romanzo Notte di nebbia in pianura, edito da Manni, raccoglie ancora, a sei anni dalla sua pubblicazione, bellissime recensioni. Come questa, scritta da Enrica M. Corradini. La versione digitale di Notte di nebbia in pianura verrà pubblicata per i tipi elettronici di Antonio Tombolini Editore, nella collana Officina Marziani, diretta da Michele Marziani in cui ha appena visto la luce il mio nuovo romanzo Sette sono i re

Ecco il testo della recensione di Notte di nebbia in pianura. Buona lettura!

Leggere Ricci ed essere introdotti all’interno di un ineludibile senso dell’effimero è cosa certa; il tutto, unito ad una certa levità, pare appartenere alla scrittura della gente di questa terra. Che sia la nebbia che già traspare dalla copertina e dal titolo del romanzo? È la nebbia che avvolge la pianura padana, che la movimenta, ne fa danzare le cose, sfumandole di quel non colore che si vede nei paesaggi leonardeschi apparentemente opaco, così sottotono, che vuole esserci ma non gradisce di far vedere che c’è; ti aspetteresti che da questa nebbia traspaiano cose sinuose, invece dalla forza della scrittura emerge, come dopo una lunga apnea, un mondo variegato che pulsa vita da tutti i pori. Buoni e cattivi ma neanche tanto, figure dai colori netti che non vogliono sbiadire ma anch’esse fatte di nebbia che si affacciano come a tante finestre dello stesso caseggiato e tu passando le intravedi. Movimento, movimento che appare e scompare e tu, per vedere, così come facciamo nella nebbia, sei costretto a puntare sui dettagli, a cercare punti di riferimento. I personaggi che prendono vita e le loro poche frasi, definite, ripetute ossessivamente, ci fanno da bussola. Ognuno è a sé, intagliato nel legno, quello che l’umidità avvolge di muschio. E poi la nebbia è leggera, come lo sono forzatamente le nostre personalità. La nebbia che tutto indistintamente avvolge alleggerisce i pesi che se li intra-vedi non sembrano poi così pesanti; ti appaiono pezzo a pezzo ed è più facile sopportarli. Il giovane uomo perso nel suo modo stantio, la madre che lo ha lasciato al suo destino, questa volta il suo “meno male che sei alto” non rappezzerà più gli strappi che la vita gli procurerà; il rabbioso che vive d’improperi, anch’egli fermo, il confronto con la forza pubblica, sempiterno rincorrersi di buoni e cattivi e qualche volta non sai davvero più chi sono i buoni, e neanche i cattivi, il Fanelli, personaggio delizioso che da dietro le quinte dice la sua e poi decide di lasciare; gli agenti di servizio, la detenuta Sandri Anna, appiccicata ad un brandello d’affetto che sta tutto nell’odore della felpa del suo Ibrahim che l’ha appena incastrata in un pasticcio ed è scomparso, e lei, cerca il suo bambino disperata e continua a credere in quell’uomo che le ha gettato in galera con la sua felpa. Gli amici del pokerino. Svetlana, la donna di Ucraina di uno di loro, che deve imparare a parlare meglio se no sembrerà sempre una immigrata….
Il Ricci scrive bene, va liscio, evapora le parole, anche quelle pesanti e le mette nella bocca di una umanità infarcita di speranze e di umidità, la nostra.

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