lunedì 23 giugno 2014

Uccidi il padre, di Sandrone Dazieri (Mondadori)

Imponente affresco nero e cupo che attraversa l’Italia dai paesaggi urbani di una Roma dalle indagini questurinizzanti, per dirla all’ingegner Gadda, fino a risalire la penisola verso un pianura cremonese di cascine abbandonate e strade bianche dalle quali sale l’aroma inquietante di prossime nebbie nascenti da lineari panorami padani.
E in questo tratto di penisola si trovano i due capi di una fune che, come un soffocante legame tanatologico, avvince i protagonisti, siano essi quelli principali o i comprimari, e con loro anche il lettore, in una trama claustrofobica dai rilanci geniali e dagli incroci narrativi sorprendenti, come in una sorta di phildickiano Ubiq contemporaneo. 
Non soltanto affascinano gli stilemi doverosamente noir che Dazieri ben conosce e utilizza, ma l’Autore sa a volte anche ben ritrarsi da essi, svicolare verso l’approdo ad altri lidi narrativi ancor più misterici, svisando come sanno svisare i virtuosi del blues e del rock. Ed è infatti un ritmo senza tregua, senza respiro, quello che tiene letteralmente attanagliato il lettore alle mutazioni e alle inversioni che questo Uccidi il padre pone costantemente alla sua attenzione. 
Non solo noir arriva da questo bellissimo libro e Dazieri ne usa la trama e gli intrecci molteplici e caleidoscopici per andare oltre, per superare i confini imposti dal romanzo, per approdare a una vera e propria analisi di un quadro fosco che dalla strategia della tensione e, ancor prima, dal confronto dei blocchi partoriti dalla guerra fredda, ancora fa sentire gli effetti delle sue trame occulte nella nostra contemporaneità storica e politica. 
E la bravura dell’Autore dipinge questa estrema e affascinante contaminazione narrativa in cui l’efferatezza di un delitto si trasfigura in scena primaria dalla quale altre efferatezze vengono generate, efferatezze di servizi segreti, di cellule deviate, di rapporti fra ex superpotenze che diventano, una volta caduta la cortina di ferro, lasciapassare sanguinanti per agghiaccianti e affaristiche transazioni, che ormai vedono anche il coinvolgimento di multinazionali globalizzate, dove gli affari hanno sostituito il confronto militare e politico alla luce di quello che, dopo l’ottantanove, sosteneva anche il maestro della spy story le Carré.
Uccidi il padre diviene così strumento letterario che analizza sottoboschi politici, esperimenti militari effettuati sulla pelle di una collettività ignara, complotti alla Cointelpro di ellroyana memoria che prendono le mosse da quella profezia allucinatoria Anni Sessanta alla Timothy Leary che presto divenne oggetto di tragici interessi da parte di agenzie e di organismi occulti e di panamensi Scuole delle Americhe.
Uccidi il padre non è solo un avvincente romanzo, ma anche l’epifania raccapricciante di una storia “sporca” dell’Italia i cui tragici artefici e demiurghi, forse anche in questo stesso istante, stanno tramando nell’ombra i loro esizialii progetti.
(Chi scrive a questo punto si permette una piccolissima nota. Se da questo romanzo se ne traesse un film o una fiction l’interprete ideale per il personaggio di Dante Torre sarebbe Fausto Paravidino).
Un libro.
Uccidi il padre, di Sandrone Dazieri (Mondadori).

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