Dai muri scrostati se ne esce un colore neutro, che sa di solitudine e che si unisce, in un'unica piattezza, con il grigio del cielo di un tardo autunno già freddo. I quadrati delle case dove, una volta, nell'afa estiva tra sanguisughe e zanzare, alloggiavano le mondine, costruiscono solitarie postazioni, perse in un cortile giallo di fango. Tutto attorno, come una fortezza presa d'assalto ed espugnata da tempo, il ricordo rossiccio del muro di cinta in pietra rossa.
Una luce, nel fondo di una chiesa parrocchiale deserta, denuncia la presenza di un presepio. Anticipo di un Natale forse di nebbia. Le abitazioni portano sulle facciate il verde di un muschio che altrove farebbe tanto Old England, ma che qui tradisce abbandono. Auto frettolose sfrecciano sul grigio dell'unica strada.
Mi guardo intorno e, pian piano, lentamente, la vedo. La vedo la gente che si affolla attorno al carretto di un libraio ambulante. Un libraio che porta le puntate dei romanzi di Hugo (nel dialetto delle mie parti, fino a qualche tempo fa per indicare un bambino irrequieto gli si diceva sei un Jafer, storpiando il nome del cattivo Ispettore Javert), dei romanzi di Stendhal, di Dumas, di Flaubert, della vogherese Carolina Invernizio (mia nonna parlava ancora con terrore de Il bacio di una morta). Una cultura ambulante che, nel trasmettere feuillettons e storie, sedimentava un sentire comune. Fatto di libri e, cosa ancor più importante, fatto di storie.
Passepartout è il nome del servo-camerire-alterego-doppelganger di Phileas Fogg.
Ugo Mursia Editore ne prende a prestito il nome per il suo bellissimo progetto.
E' un progetto quasi fuori dal tempo. Ed è per questo che mi piace.
Anch'io, quel giorno, in quella cascina abbandonata, sono stato fuori dal tempo.
Nessun commento:
Posta un commento