martedì 9 maggio 2017

Guerre di Rete, di Carola Frediani (Laterza)

John Le Carré disse di essere entrato in una profonda crisi creativa dopo la caduta del Muro di Berlino, evento che aveva determinato la fine della Guerra Fredda, perché prima il mondo era semplicemente diviso in due blocchi, gli Usa e l'Urss. Da una parte c'era la Cia, dall'altra il Kgb. Dopo la caduta della cortina di ferro per l'intelligence di ogni nazione sarebbe stato estremamente difficile discernere i veri nemici e i veri alleati e così anche per uno dei più grandi scrittori di libri di spionaggio. 
Da allora sono passati ormai quasi trent'anni e la storia non solo non è finita, come aveva preconizzato Francis Fukuyama, ma ha imboccato vie che una generazione fa erano difficilmente pronosticabili. La fine del socialismo reale, il riesplodere dei nazionalisti, il confuso rapporto tra Occidente e Islam (che dalla guerra dell'Afganistan, passando per gli attentati alle Torri Gemelle, è giunto fino al palesarsi dell'estremismo più radicale e sanguinario del Califfato, in un gioco politico mondiale in cui gli interessi economici tra Oriente e Occidente sono così intrecciati che i ruoli di terrorista, patriota, alleato e nemico diventano spesso evanescenti, sovrapponibili e intercambiabili nelle zone più oscure e sommerse della politica mondiale) si sono intrecciati con la rivoluzione digitale che ha portato il web da esperimento tecnico militare destinato a pochi siti di altissima tecnologia a vera e proprio ecosistema che si avviluppa alla realtà quotidiana di tutti noi.
Già Thomas Pynchon, e altri non poteva essere, nel 2014 pubblica La cresta dell'onda. In quel romanzo il grande scrittore postmoderno affronta narrativamente il tema della penetrazione inarrestabile del web, della digitalizzazione delle nostre vite e degli angoli più sottotraccia che questa rivoluzione tecnologica partorisce in se stessa come tante backdoor destinate a sfuggire a qualsiasi controllo, ovvero a essere controllate da chi questo controllo non dovrebbe mai avere.
È singolare, ma al contempo affascinante, che un saggio come Guerre di Rete, scritto da Carola Frediani, si legga con la fluidità geniale di un romanzo postmoderno e illustri lo stato dell'arte di quelle che sono le aree telluriche e inquietanti che vivono sottotraccia all'ecosistema del web e della parallela digitalizzazione mondiale.
Cripto-guerre combattute senza esclusione di colpi, multinazionali della sicurezza informatica che mantengono rapporti oscuri con webscassinatori criminali dei sistemi da loro stesse creati, orde di hacker anonimi che a seconda dei giorni, o degli interessi, indossano la maglietta dell'anarchico libertario o quella dell'informatore dei servizi segreti, attacchi informatici falsamente rivendicati e artificiosamente attribuiti, una costante guerriglia a colpi di virus informatici tra Stati Uniti, Russia e Cina, tra Iran e Israele, mercati celati nelle darknet in cui si vendono milioni di dati sensibili e personali, sottratti a centinaia di banche dati mediante software malevoli e di kit del ricattatore informatico che passano di mano in una infinita filiera di appalti, subappalti e compravendite a colpi di bitcoin.
Lo stesso browser TOR, che permette a chi lo installa di avere accesso alle darknet, è sviluppato da integerrimi difensori delle libertà individuali e al contempo finanziato da agenzie di intelligence. Le stesse agenzie e governi vedono al loro interno il costante confronto tra chi vuole un web libero e chi invece lo vuole controllato e spiato, un confronto che spesso sconfina nella produzione di accuse reciproche di truffa e di molestie sessuali. 
Dove si ferma la tutela della privacy e dove inizia la sicurezza della collettività? Uno smartphone o un pc devono rimanere inviolabili oppure possono essere violati da polizie e gendarmerie? E se la loro violazione fosse necessaria per individuare un serial killer o un pedofilo internazionale? E se invece la stessa violazione servisse a uno stato totalitario per spiare, individuare, arrestare, torturare gli oppositori democratici?
Guerre di Rete è un libro fondamentale per il lettore che voglia confrontarsi con queste tematiche complesse e inquietanti. Carola Frediani scrive un saggio completo, dinamico, imprescindibile che, come un tempo si sarebbe detto, si legge tutto d'un fiato come una spystory. Il problema è che in quella spystory ci siamo dentro tutti.
Un libro.
Guerre di Rete, di Carola Frediani (Laterza).

mercoledì 3 maggio 2017

Gli huligani, di Mircea Eliade (Calabuig)

Romania, anni Trenta dell'ultimo secolo del secondo millennio, anni Trenta di quel secolo breve che ha insanguinato il mondo con la mesmerizzazione dei corpi e delle anime operata delle ideologie totalitarie di destra e di sinistra, anni Trenta che segnano un sottile confine tra due guerre mondiali che la storiografia più avanzata inizia a definire come una seconda guerra dei Trent'anni, dopo la prima nella quale, nel corso del Seicento, i corpi e le anime furono straziati nel sanguinante confronto tra cattolici e protestanti.
Curzio Malaparte, mentre si trova nel 1941 ai confini orientali della Romania nei primi giorni dell'Operazione Barbarossa, la definisce in Kaputt come luogo dagli echi agghiaccianti e inquietanti, luogo in cui si parla una lingua apparentemente latina ma che in realtà cela strutture slave, luogo in cui accanto a palazzi che ricordano i fasti dei boulevards di Parigi si fermano carovane di strani animali da soma che sembrano dromedari. Lo stesso Roberto Bolaňo, nel suo icasticamente magico 2666, pone in Romania uno dei nodi da sciogliere della sua fitta e babelica trama e lo fa narrando fatti lì accaduti proprio nel momento in cui la Romania rimane abbagliata dal canto delle sirene che proclamano un nuovo ordine mondiale all'insegna dell'Asse.
Il nome di Mircea Eliade percorre come un fiume carsico il pensiero europeo post bellico, in cui incarna il ruolo quasi sciamanico di colui che ha guardato nell'abisso ma che è riuscito per tempo a ritrarsi e a fare in modo che l'abisso non guardasse in lui. Pronunciare il nome di Mircea Eliade nei settari anni Settanta del secolo scorso era sinonimo di preoccupante filofascismo, mentre l'indubbio merito di Eliade è stato quello di analizzare il dolore dell'umanità per mezzo del sincretismo culturale, la ricerca dell'arcano, del misterico, dell'esoterico, di tutti quegli attimi spaziotemporali che Carl Gustav Jung avrebbe definito "archetipi".
In questo senso Gli huligani è un forte ritratto dai toni potentemente dostoevskijani di una generazione che, come un magnete impazzito, ha attratto su di sé la disarticolazione morale e umana nata dalla contaminazione e dalla ibridazione di quel coacervo immaginificamente e tragicamente anarcodittatoriale che è stato espressione della negazione totalizzante di qualsivoglia razionalità messa in scena dalla demoniaca illusione rappresentata dal nazismo e dallo stalinismo. I personaggi di questo romanzo si muovono in una "no man's land" morale e ideologica che si trova al centro di una deflagrazione di universi che è sul punto di compiersi. Nessuno è più se stesso ma tutti sono costretti a interpretare una parte, senza farsi domande, lasciandosi trasportare verso l'avvicinarsi di una tempesta che al contempo atterrisce e affascina. I corpi che si avvinghiano in una carnalità fine a se stessa altro non sono che immagini divinatorie di altri corpi che ben presto saranno sì ancora reciprocamente avvinghiati ma stavolta nel fango segnato dai cingoli dei carri armati, la gestione apparentemente libera del sesso altro non è che maschera tragica con cui celare ai propri occhi la consapevolezza di essere soltanto automi imbellettati alla affannosa ricerca di una memoria che si rivelerà orribilmente inesistente. Gli huligani è la fotografia della negazione morale, civile e politica degli esseri senzienti. Quella negazione che, dopo la seconda guerra dei Trent'anni, pensavamo fosse stata definitivamente debellata ma che invece la lettura di questo romanzo fa comprendere come sia ancora più presente adesso, in questo buio inizio di questo per ora oscuro terzo millennio.
Un libro.
Gli huligani, di Mircea Eliade (Calabuig).