lunedì 18 luglio 2016

Mi chiamo Lucy Barton, di Elizabeth Strout (Einaudi)

Andare in cerca di una legge narrativa che, come la famosa teoria della fisica, riesca a spiegare il senso della vita e tenti di ricomprendere il tutto è sempre stata impresa difficile, spesso sfuggita a romanzieri di onorata e lunga carriera. Ebbene, con pennellate al contempo leggere e incisive, con parole al contempo lievi e potenti, con uno stile al contempo scarno e corposo, Elizabeth Strout riesce magistralmente a superare questa sfida con questo bellissimo Mi Chiamo Lucy Barton. La malattia, gli affetti, gli amori, la povertà, il rapporto tra metropoli e provincia americana, la tragica e atroce presenza paterna, la complessa e tuttavia affettuosa figura materna, da qui prende le mosse questa narrazione che, nel suo sempre più coinvolgente divenire, lentamente ammalia il lettore e lo conduce amichevolmente per mano facendogli compiere un viaggio che ha come meta il virtuoso intrecciarsi delle anime dell'Autrice e di chi la legge. 
Mi chiamo Lucy Barton è romanzo che riesce a coniugare in sé, e lo fa con rara capacità, sia le dominanti, e problematiche, visioni che albergano da sempre nella società e nell'immaginario americano, sia il caleidoscopico mutare della loro interpretazione e descrizione che è elemento distintivo e unificatore della miglior letteratura americana. 
Elizabeth Strout fa risorgere la grande epopea degli Steinbeck e dei Dos Passos e la immerge nella forte e angosciante prova delle short stories hemingwayane, liberandola però del machismo eroico di queste ultime e rivivificando il minimalismo carveriano sfuggendo tuttavia intelligentemente dalla trappola della sua troppo enigmatica solitudine. Interessante e particolare è poi l'intrecciarsi dei piani temporali e di quelli narrativi nei quali si mimetizza l'esperienza editoriale e l'amore per i libri dell'io narrante che velatamente cela le passioni letterarie e il rapporto quasi simbiotico con i libri che è certamente parte fondamentale della vita dell'Autrice stessa.
Il frutto di tutto ciò è un romanzo miracoloso, unico ed estremamente coinvolgente. Un miracolo narrativo che, come pochi altri, riuscirà, una volta che sarà arrivato all'ultima pagina, a rendere migliore ogni lettore.
Un libro.
Mi chiamo Lucy Barton, di Elizabeth Strout (Einaudi).

martedì 12 luglio 2016

A metà dell'orizzonte, di Roland Buti (Calabuig)

Una Svizzera dissimulata, particolare, quasi onirica, intersezione di mondi arcaici e moderni al contempo. La canicola dell'estate del 1976 è lo scenario che cristallizza in un attimo di angosciante sospensione l'incrociarsi di destini sì apparentemente immobili ma tuttavia protagonisti loro malgrado di una tragica mutazione che scardina le vite e le anime. Quello che Roland Buti narra è un universo parallelo a quello della disarticolazione del romanzo messo in scena da Friedrich Dürrenmatt nei suoi libri o a quello silenziosamente allarmante che Claude Goretta presenta nei suoi film, altri due autori elvetici che descrivono una Svizzera circostanziata da ombre opprimenti, da strane attese, da presenze soffocanti. La campagna apparentemente quieta che Roland Buti racconta è gravida di incomprensioni celate, di speranze esplosive, di desideri tracimanti nella impossibile trasgressione e cocciutamente conservati nel silenzio. Uomini, donne, ragazzi, ragazze, animali, alberi, sono tutti a loro modo protagonisti di una lenta fusione di aspettative tradite e di volontà di fuga mai messe in opera. Tutti gli esseri viventi, costretti a rimanere incardinati nel posto loro destinato da un fato atavico e millenario, un fato modellato da secolari tradizioni che albergano tra i pascoli e i monti della Confederazione Elvetica, sono indotti bruscamente a fare i conti con una caldissima estate che si manifesta improvvisa come il segno chialistico di un demiurgo che ha deciso di far crollare le secolari immobilità di questa terra chiusa tra le fredde verticalità alpine. Alla fine tutto sarà definitivamente mutato e nulla potrà mai essere come prima. Da un lato una madre sceglierà il proprio destino accanto a una donna, abbandonando la famiglia, dall'altro la più vecchia giovenca della fattoria sceglierà la morte per inedia rimanendo immobile nella calura. Nel mezzo i vecchi moriranno, i padri abdicheranno definitivamente al loro arduo ruolo. Solo qualche giovane diverrà padrone del proprio destino. Chi non ci riuscirà rimarrà lì a metà dell'orizzonte, preso dall'inesorabile divenire del tempo, a testimoniare con la propria inevitabile decadenza fisica come ogni cosa sia da tempo immemorabile destinata a cambiare.
Un libro.
A metà dell'orizzonte, di Roland Buti (Calabuig).

lunedì 11 luglio 2016

Tranne il colore degli occhi, di Roberta Marcaccio (Antonio Tombolini Editore)

Romanzo con una trama dal sapore antico e riassemblata sapientemente con un uso interessante del divenire spaziotemporale. Amore, amicizia, morte, sentimenti forti sono quelli che albergano in Tranne il colore degli occhi, sentimenti che l'Autrice giostra magistralmente, riuscendo a tenere il passo e la cadenza di certe novelle del Verga. E così come nei romanzi del nostro Ottocento il dolore della vita si fa strada tra l'infittirsi dei personaggi la cui presenza non è mai pletorica bensì funzionale al divenire spaziotemporale delle vite di luoghi e persone. Luoghi e persone che si intrecciano attraverso un uso genialmente quasi sperimentale della sovrapposizione dei tempi e della tecnica del flashback. Un'analessi che non è solo mezzo ma anche e soprattutto strumento per l'indagine delle anime, anime che sono indissolubilmente legate alla fusione del presente con il passato e con il futuro, una fusione che in ogni attimo della lettura regala al fortunato lettore la corposità di una storia che non è mai banale e in cui il peso del dolore è trattato con letteraria levità. 
In Tranne il colore degli occhi il passo e la cadenza del romanzo ottocentesco bene si fondono con l'eco di quegli sceneggiati che negli Anni Settanta venivano trasmessi dal mezzo televisivo, quegli sceneggiati in cui i personaggi erano interpretati dai grandi nomi dei teatro italiano e che, ancora oggi, fanno impallidire la povera fiction a noi coeva. In questo romanzo c'è tutto: la trasformazione sociale del nostro paese, la provincia nascosta, la metropoli immensa, la mutazione del sentire dei costumi e della società. Il tutto reso in modo mai banale, mai pesante, mai retorico.
Tranne il colore degli occhi è un come quei feuilleton che all'inizio furono catalogati come romanzi d'appendice e che poi invece hanno saputo attraversare e interpretare i tempi della grande letteratura. 
Roberta Marcaccio scrive un romanzo al contempo antico e nuovissimo, potente e lieve, tradizionale e innovativo.
Un libro.
Tranne il colore degli occhi, di Roberta Marcaccio (Antonio Tombolini Editore)