martedì 13 ottobre 2015

Le stagioni di Zhat, di Sonallah Ibrahim (Calabuig)

Quella lettera greca che segna e denomina geograficamente la foce del Nilo, il Delta, delimita con la metropoli de Il Cairo lo scenario di questo romanzo di Sonallah Ibrahim in cui millenarie mutazioni portano oggi alla definizione di una narrazione che si snoda nell’Egitto contemporaneo attraverso le tre presidenze di Nasser, di Sadat e di Mubarak, trinità politica che demarca i decenni in cui si sviluppano le vite quotidiane dei personaggi. 
Zhat, figura femminile con tutte le sue gioie, i suoi dolori, le sue aspettative e le sue delusioni opera come delicato fulcro di una storia in cui la forte ironia dell’Autore scopre lentamente il manto propagandistico della storia politica, portando alla luce la fatica di vivere in una realtà complessa, caratterizzata dai contrasti religiosi, dagli arcaismi sociali ancora presenti, dal peso del neocolonialismo economico, dalla presenza della corruzione politica e burocratica. Zhat è prima bambina, poi ragazza, poi donna matura con marito e figli e parenti insopportabili e vicini ingombranti e compagni di lavoro supponenti, in un caleidoscopio di strade, di quartieri prima residenziali e poi fatiscenti, alle prese con la perenne crisi economica che deturpa il bilancio familiare e le aspettative future e con il rapporto forse amaro con un marito che si arrende alla vita mentre lei continua, malgrado tutto, a combattere. Con una narrazione che ricorda la grandezza onnicomprensiva di Dostoevsky e il tragico umorismo di Gogol, Sonallah Ibrahim segue l’intreccio delle vite, lo scorrere del tempo, la circolarità di avvenimenti che forse sono destinati a non avere mai un futuro di redenzione. Tra ogni capitolo si innestano brevi comunicati stampa di accadimenti sociali, politici, di corruttela, di prevaricazione di multinazionali statunitensi ed europee, di leader politici e religiosi che perseguono i loro privati interessi ammantandosi di propagandistici e artefatti proclami per il bene della nazione e dell’Islam, comunicati stampa che fondono la corposità di un romanzo che ricorda i classici dell’Ottocento con la rivoluzionaria tecnica del romanzo postmoderno, in una unione narrativa che trasfigura il romanzo stesso in specchio della società che racconta. Le stagioni di Zhat è romanzo sì, ma anche e soprattutto strumento di comprensione del mondo arabo, un mondo con cui da sempre l’Occidente deve confrontarsi. 
Fernand Braudel definì il Mediterraneo una “pianura liquida”. Leggere Sonallah Ibrahim ci permette di comprendere cosa si cela ai confini islamici di questa pianura.
Un libro.
Le stagioni di Zhat, di Sonallah Ibrahim (Calabuig).

lunedì 12 ottobre 2015

Leggere è più bello di scrivere

Tanti sono i laboratori di scrittura ma pochi sanno che una buona lettura è condizione indispensabile per una buona scrittura. La lettura è un'arte raffinata e per questo vi segnalo questo interessante laboratorio di lettura.


martedì 6 ottobre 2015

Il viaggio, di Murray Bail (Calabuig)

Una mirabile ibridazione tra significati, sentimenti, narrazioni, tra mitteleuropa e Australia, in una sorta di avvicinamento (quasi) impossibile tra mondi, parole, storie. La luminosa arsura di un deserto australiano che sta ai confini del mondo, colonizzato da città e abitanti che sono il ricordo di un passato che si è forse perso nel futuro e la racchiusa magnificenza di una Vienna che ospita le rimembranze di un passato di Felix Austria trasmutatosi con dolore accorto in quella Finis Austriae che Joseph Roth raccontò con tristezza assoluta e analitica, si confrontano, si osservano, si cercano, intuiscono una possibilità di comprensione che va oltre i confini, le città, le nazioni. Ambientazioni di un vecchio mondo a volte astioso nella difficile convivenza con splendori antichi che sono ormai passati inesorabilmente, a volte immerso suo malgrado nella interpretazione sofferta di autori come Thomas Bernhard, palazzi che contengono l’affastellamento di ricordi dal valore sentimentale e anche patrimoniale che improvvisamente si arresta di fronte a stanze dalla postmoderna asetticità, scenari che si fondono con gli stessi personaggi che quelle mura abitano. Un viaggio a bordo di una nave mercantile che ricalca rotte contemporanee che attraversano luoghi del colonialismo ottocentesco dalle reminiscenze europee, reminiscenze che comunque sono ai due stessi estremi di questo viaggio che è anche viaggio conradiano alla scoperta, o meglio, alla ricerca di una definizione, impossibile forse, di quella linea d’ombra che accompagna la vita di ogni essere umano. Un viaggio costellato dalle interpunzioni di tempi narrativi che si intrecciano come una partitura musicale. E l’oggetto atavico di un pianoforte rinnovato nella sua tecnica ai confini del nuovo mondo ritorna, per una nemesi delle cose prima ancora che della storia, al vecchio mondo che in lui si rispecchierà e giungerà alla negazione, comunque impossibile, di tutto il suo passato per mezzo di una performance dai toni delilliani e bolañiani in cui la distruzione dell’oggetto è catarsi impossibile di un intero continente che non riesce a emendarsi dalla sua storia. Forse solo l’amore che unisce un uomo e una donna rimane come eterno avvertimento che un embrione di speranza è possibile, sempre.
Murray Bail scrive un romanzo particolare, interessante, che riesce in quella difficoltosa missione di rappresentare il punto Omega in cui l’immenso si unisce all’attimo e che è forse la missione ultima della letteratura.
Un libro.
Il Viaggio, di Murray Bail (Calabuig).