venerdì 28 marzo 2014

Lamento di Giustiniani, Errant Editions & Legatoria Montanari

Lamento di Giustiniani (Errant Editions) "creato" dalla Legatoria Montanari

Lamento di Giustiniani si trasfigura (assieme a LImmat Fado, di Francesca Mazzucato e a Ricette sarde da viaggio, di Efisio Contini) in luogo di incontro tra la rapidità immaginifica del libro digitale e la raffinatezza consolidata del libro di carta. Seguendo l'orma di editorie di pregio e al contempo di ricercata chiarezza, come certe opere dell'editore Vanni Scheiwiller, Errant Editions inaugura con la Legatoria Montanari un progetto editoriale che diventa imprescindibile territorio in cui il classico e il contemporaneo si uniscono, il digitale diventa più analogico e l'analogico si avvicina al digitale e dove le idee si trasfigurano in oggetti e manufatti artigianali esclusivi di legatoria. Una nuova espressione di editoria in cui l'artigianato di pregio dà forma al libro digitale.

mercoledì 26 marzo 2014

La parte di niente e CriticaLetteraria

L'efferata trilogia ha già due parti pubblicate. La terza arriverà perché come tutte le trilogie deve compiersi, anche, e soprattutto, al di là di chi l'ha scritta. Immagini, luoghi, personaggi, trasfigurazioni si affollano e procedono verso un traguardo di parole che forse non è la fine bensì il principio. Intanto Carla Casazza scrive questa bella recensione sulle prime due parti, recensione che esce su CriticaLetteraria. Il titolo già da solo è portatore di tante cose, verità, espansioni di scritture che sono forse personificazioni di dimensioni borgesiane e di demiurghi bolaňiani: Con una "efferata trilogia" Angelo Ricci rende omaggio al postmodernismo.

" Ombre dal tremore sensuale danzano nelle tenebre che avvolgono come una mater luciferina le pupille di Borges, il grande aedo argentino.Grida di battaglia si materializzano dalle fauci infuocate di guerrieri che si prostrano di fronte alla ricompensa eterna del Walhalla. Rune misteriche si fondono in un amplesso di calda carnalità insieme a profili essenziali di scribi assisi in piazze di geometriche città che ospitano mastabe sumere.Destini definitivi, giocati e persi in lotterie sataniche, diluiscono il tempo che scorre in labirinti estremi, dove ripugnanti esseri metà uomini e metà demoni stuprano fanciulle profumate.Mappe di territori abitati da belve che prevedono il futuro e compongono domande senza risposta alcuna ammantano e coprono, scurendolo senza possibilità di salvezza, l’intero orbe terraqueo..."

Basta leggere poche righe de La parte di niente per sentirsi immersi nelle suggestioni postmoderne che spesso caratterizzano gli scritti di Angelo Ricci e che con evidenza lo hanno ispirato in vari suoi scritti. Questi due ebook - La parte di niente e La parte di niente II. La parte degli scrittori - che assieme all'ultimo di prossima uscita, andranno a comporre una "efferata trilogia" (come lo stesso autore l'ha definita), sono piccoli scrigni preziosi che racchiudono le migliori caratteristiche della letteratura a cui intendono fare omaggio. 
Ma prima di tutto sono un evidente tributo a Roberto Bolaño
Certo, per apprezzare i due scritti occorre avere le basi necessarie a riconoscere le tante citazioni e i sottili riferimenti non solo letterari ma anche cinematografici, e per districarsi nel girotondo di personaggi presi a prestito dal reale o dalla fantasia di altri scrittori a loro volta qui citati, come De Lillo, Moresco, Borges
Come una sorta di "Bignami" del postmoderno ne possiamo individuare, tra le righe, le caratteristiche salienti: narrazione frammentaria, simulazione e dissimulazione della realtà care a Philip K. Dick, la scrittura labitintica e complessa di Pynchon, il male come elemento caratterizzante di tutta la realtà che si ritrova continuamente nelle opere di Bolaño. 
Così che autori e trame diventano un unico coacervo inestricabile che dà corpo allo scrittore unico, idealizzato da Ricci che arriva a citare persino se stesso. 
È la Bisanzio dell'editoria, bellezza.

lunedì 17 marzo 2014

Le parole la notte, di Francesco Biamonti (Einaudi)

Definizioni narrative che si trasfigurano, per mezzo di ogni singola parola che vive nei dialoghi ultimi, in quel divenire poetico che è al contempo voce e anima di una zona, territorio, afflato di anime e di pietre. Meriggiari pallidi e assorti che divengono strumento per l’ostensione di spiritualità assise nel ricordo sanguinante di passati che riverberano, come solo può fare il sole limpido sugli scogli estranei ai confini di oliveti arsi che altro non sono se non il paradigma di anime che cercano un luogo che non è più e forse non è mai stato, sensazioni gravide di erotismo, sangue, violenza, sopraffazione… forse.
Contaminazioni di terre che a loro volta contaminano (e si contaminano) uomini e donne, passati e futuri, figli legittimamente prossimi di un sentire che attraversa le strade difficili e pietrose di un suolo che è simbolo di passioni celate volontariamente in un’attesa che conosce la forza della fine.
Quella linea sottile (quella ferita, forse) che accomuna riviere liguri di un ponente solitario e pregno di domande che conoscono già tutte le risposte, anche quelle più acide e terribili, nell’attesa di una definizione francesizzante di coste azzurre, di Nizza, di Marsiglia, di dolore e sofferenze condivise in un silenzio che urla la sua presenza attraverso la fatica dello stare in quei luoghi che sono passaggio di uomini e sentimenti, nell’attesa di un traguardo che non può esistere perché quello stesso confine senza perdono è lo stesso confine che attraversa, come una ferita irrimarginabile di ricordi passati e tuttavia presenti, l’essenza di ogni uomo e di ogni donna.
Spesso sono stato involontario testimone di questi luoghi, di questa Liguria assisa in domande che non vogliono avere risposte, perché quelle stesse risposte sono nascoste in quella idea di Francia confinaria che quelle risposte ha già dato e dà tuttora e sempre in una contemporaneità immobile di luci e di notti piene di voci silenziose, simbolo atavico senza soluzione di continuità che da solo vale la vita di un essere umano.
Un libro.
Le parole la notte, di Francesco Biamonti (Einaudi).

lunedì 10 marzo 2014

Vivere senza slot. Storie sul gioco d'azzardo tra ossessione e resistenza, Collettivo Senza Slot (nuovadimensione)

Immagini di una interzona che condivide il suo divenire tra Burroughs e il Dr. Adder, foriera di tragiche definizioni che conducono alla schiavizzazione di un’umanità inconsapevolmente protagonista di una narrazione forse cyberpunk. Luoghi di efferato smaltimento di segrete speranze che non possono avere successo se non nella reiterata delimitazione di una sottrazione di fasi di umanizzazione, sottrazione che avvera se stessa in una tragica manifestazione di reiterate configurazioni disumanizzanti, certificate, prodromiche di strumenti invasivi di anime e di corpi, sino alla finale e devastante fase di controllo totale, senza speranza, almanaccata per mezzo di rutilanti messaggi di vane speranze presentati come trailer mortalmente seducenti di universi paralleli di felicità artefatte, come in una metropoli abitata da una popolazione vittima di sogni innestati da varianti spietate di androidi omicidi.
Oggetto narrativo, inchiesta, romanzo forse, narrazione comunque imprescindibile di territori devastati dove vite energie e luoghi si trasfigurano in oggetti di mercimonio malvagio, Vivere senza slot si palesa come report necessario e fondamentale, scritto dalla frontiera di una guerra silenziosa e tragica, come silenziose e tragiche sanno essere solo quelle guerre agli umani condotte da interessi così intrisi di danaro al punto da sapersi trasformare in bisogno primario da parte di universi dopaminizzanti cha sanno sapientemente trasformare il bisogno nascosto in necessità assoluta, in sostanza phildickiana che assurge a elemento insostituibile di anime ormai prigioniere di un nulla che ha come traguardo finale la destrutturazione di una collettività a uso e consumo di interessi malavitosi. La frontiera acida e sanguinante che è stata quella dei Bolaňo, dei González Rodriguez e dei Diego Enrique Osorno è arrivata tra noi, annunciata dal semplice baluginio delle luci di una slot assisa nel buio.
Un libro.
Vivere senza slot. Storie sul gioco d’azzardo tra ossessione e resistenza, Collettivo Senza Slot (nuova dimensione).

venerdì 7 marzo 2014

Il nascondiglio della farfalla, di Ippolita Avalli (Mondadori)

Scenografie capitoline, di vie e strade e angoli, che si palesano nella loro normalità foriera di nascosti tormenti, come quelle piazze metafisiche alla de Chirico, pregne di angoscia e per questo utilizzate spesso da Dario Argento come luoghi dei suoi incubi filmici, si ergono come un palinsesto sotto il quale si celano sensazioni e afrori di orrori che lentamente disegnano la loro trama di sangue su una cartina che è mappa di una Roma solitaria nella e della solitudine dei personaggi che popolano questo romanzo, trama di sangue che sparge il suo segno nero e carminio fin verso lagune toscane che, già dalla loro essenza e struttura geografica, denunciano e simboleggiano trasparenze e contaminazioni di storie, sofferenze, dolori che nascondono ben altre pene, afflizioni, strazi e supplizi.
Viaggio tra i luoghi, tra le strade, tra le abitudini di quel quotidiano affannato e nevrotico che è simbolo del quotidiano trascorrere di vite forse affaticate nel tentativo di scavarsi tane di apparente tranquillità nel moltiplicarsi delle trappole di un universo governato da demiurghi che si fanno beffe dell’umanità, Il nascondiglio della farfalla lentamente si trasfigura in una tragica vivisezione dei corpi e delle anime che diventa paradigma di una perversa sofferenza, questa volta comminata all’umanità da un demiurgo malvagio che tutto governa all’insegna di una crudeltà che si infiamma tra le pieghe di mostruosi uteri intenti a partorire divinità del male che si abbrancano ai corpi, trasformandoli in larve rese impotenti, nell’orrore di un cosmo retto da simulacri spietati che attraversano menti che sono diventate universi alla Hieronymus Bosch.
Un libro.
Il nascondiglio della farfalla, di Ippolita Avalli (Mondadori).