giovedì 30 gennaio 2014

Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno, di Ella Berthoud e Susan Elderkin (Sellerio)

Brave le due autrici, Ella Berthoud e Susan Elderkin, che regalano ai lettori la loro levità, la loro soave, ma ferma e curatissima, sapienza letteraria e libresca e bravo l’editore Sellerio che le pubblica in Italia. E questa soave sapienza si materializza in questo libro che, come nelle migliori aspettative borgesiane, bolaňiane e canettiane, è un libro fatto di libri. Tutti noi lettori siamo, in fin dei conti, malati di una ossessione che ci attanaglia fin nei nostri più reconditi recessi mentali, quell’ossessione che ci tiene prigionieri e che saremmo in grado di curare solo ottenendo quel risultato che non potremmo comunque mai raggiungere, quello cioè di aver letto tutti i libri. Obbiettivo impossibile e che ha perseguitato e perseguita tutti coloro i quali cercano incessantemente quell’attimo evanescente come i colori di una farfalla nabokoviana che unisce i sentimenti di chi scrive e quelli di chi legge.
E quindi quale miglior rimedio per il malato (immaginario o letterario che sia) se non quello di assumere nelle dosi che ritiene più opportune le parole di questo libro che è un saggio che diventa silloge e che si trasfigura in romanzo, in quel romanzo che è il libro universale  e assoluto cui noi, poveri lettori ammalati e ossessionati, cerchiamo da sempre di avvicinarci.
Le due Autrici dispensano quindi autentiche pillole di saggezza letteraria, non scevra da un fine e sottile umorismo, che pagina dopo pagina leniscono i nostri affanni e ci fanno comprendere che è proprio quell’orizzonte irraggiungibile della lettura di tutti i libri che dà un senso alle nostre vite.
Un libro.
Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno, di Ella Berthoud e Susan Elderkin (Sellerio).

venerdì 24 gennaio 2014

Padania Blues: l'intervista

E' uscita stamattina una mia intervista su "La Provincia Pavese" (quotidiano del Gruppo L'Espresso) in occasione della presentazione di Padania Blues. Si parla di racconti, pianura, libri che ho pubblicato e momenti che hanno segnato le mie scritture.


martedì 21 gennaio 2014

Sbolaňiare la realtà e il #gallizioLAB

Flussi narrativi mi conducono a costruire ancora, in una coazione a ripetere forse patologica forse narrativa soltanto, a esibizioni borgesiane, bolaňiane, definitive e totalizzanti attraverso la parola scritta. Luoghi (in)definiti mi accolgono ancora una volta affinché possa loro destinare storie che mi accompagnino, e con me il lettore, verso destini investigativi delimitati dai confini di pianure che sono simbolo di invasioni narrative. L'Impero è caduto da tempo, ormai, e non ci siamo accorti che i barbari eravamo noi, anche se indossavamo uniformi imperiali nascoste comunque da involontari mantelli di pellicce che Ammiano Marcellino avrebbe definito senz'altro germaniche. Una prima incursione qui. Una seconda qui.

Padania Blues a Le mille e una pagina

E' forse più facile parlare di libri a Milano, o a Torino, o a Firenze, o a Roma. Più complesso, meno scontato è farlo nella provincia. In provincia può essere una sfida. E in provincia la libreria Le mille e una pagina ha accolto da anni con successo questa sfida e svolge un compito insostituibile di divulgazione libraria e culturale. E sarà proprio in questa libreria che sabato 25 gennaio, alle ore 17.30, presenterò Padania Blues.


venerdì 17 gennaio 2014

Adelphiana 1963-2013 (Adelphi)

Frammenti che segnano il tempo, come mistici e misterici metronomi che rendicontano, creano e delimitano un flusso infinito di narrazioni. Narrazioni che albergano nei testi pubblicati che, a loro volta, si trasfigurano nell’essenza di un ecosistema editoriale che assurge con imponenza a icona definitiva e pulsante di un immaginario che vive nei lettori e dei lettori. 
Libri che si animano al di là dei loro stessi autori, nell’eterna e affascinante sedimentazione di un’identità che si fa simmetria quasi geometrica del pensiero e dell’umanità.
Stralci di avventure, di parole, di brani, di segmenti di un perpetuo raccontare e raccontarsi che è ritratto dell’anima di chi ha pubblicato, di chi ha scritto e di chi legge, in un avventuroso viaggio alla ricerca della perfezione, alla ricerca della parola estrema, dell’immagine di uno specchio che riflette meraviglie e stupori, quintessenza di quella investigazione letteraria che fine non può mai avere.
Adelphiana, “pubblicazione permanente e sporadicamente visibile” come ha da essere intesa e condivisa nelle stesse parole della prefazione a cura dell’artefice e demiurgo Roberto Calasso, pubblicazione imprescindibile che, come una pulsar, invia i suoi ritmici segnali di luce attraverso i confini di universi pitagorici e borgesiani, fino al termine di quel perpetuo narrare che altro non può significare se non il principio ancora di un altro narrare, in una rincorsa infinita che ha il fine eterno di trovare quel libro che tutto l’universo conterrà e che sarà a sua volta da esso contenuto.
Un libro.
Adelphiana 1963-2013 (Adelphi).

martedì 14 gennaio 2014

L'arsenale delle scritture

Attese natalizie che si sviluppano nei giorni che portano il numero di 23 e 24 vennero improvvisamente solcate da una mail inviatami da Filippo Pretolani (aka gallizio) che mi chiedeva con obiettivi conradiani di partecipare a un esperimento definito 72 ore 20 minuti un pezzo. A un mio segnale, nelle successive 72 ore dalla ricezione di quella mail di arruolamento, avrei ricevuto una traccia e, su quella traccia ma anche contro quella traccia o ignorando quella traccia che comunque diveniva elemento fondamentale sia nel suo accoglimento che nella sua negazione o indifferenza, avrei avuto 20 minuti per scrivere un racconto? un pezzo? una visione o un frammento? Tutta la scrittura, tutte le scritture, si sono convogliate verso il gallizioLab, wunderkammer della parola, arsenale delle scritture, deposito di frammenti (qui una fondamentale intervista che spiega, chiarisce, segna confini e orizzonti). 
La mia scrittura? frammento? pezzo? è qui.
Buone letture.

martedì 7 gennaio 2014

Z, La guerra dei narcos, di Diego Enrique Osorno (la Nuova frontiera)

Tragiche epifanie di Santa Muerte spietata e di sangue che irrora l’acido deserto che definisce la frontiera gringa o chica. Enunciazioni scritte con l’affanno di un affastellamento necessario e ineludibile, spossato e oppresso dalle visioni continue di un’eternità di orrore. Luoghi e paesaggi dove esseri umani, ridotti ad automi dall’angoscia incessante, vivono sotto la cappa di un rumore bianco di orrore e terrore. Simulacri che forse un tempo sono stati vivi percorrono strade di polvere imbracciando Ak 47 e lasciando scie di morte che sgorgano da corpi smembrati e abbandonati a tragico monito di un nulla che ormai è divenuto lasciapassare imprescindibile di ogni potere. Allegoria della violenza che si trasfigura in passaporto per immani ricchezze che sono assise sulle tonnellate di cocaina che divengono quasi essenza vitale di un cortocircuito brutale e malvagio nella sua orrorifica immensità. Demiurghi malefici dalle vestigia di vendetta forse antica governano i destini di questa definizione territoriale che è diventata paradigma della fine della ragione. Diego Enrique Osorno compie fino in fondo questo dantesco viaggio fino agli inferi del mondo, portando con sé la consapevolezza che la parola ha comunque il potere di combattere in qualche modo la follia dell’umanità. Confini che fanno da palcoscenico a vessazioni infinite che già Roberto Bolaňo e Sergio González Rodríguez avevano percorso nella loro partizione occidentale (Sonora, Ciudad Juárez) con il salvacondotto della narrazione, in quella geniale commistione di cronaca e opera narrativa in cui Rodríguez si trasfigurava in personaggio di quel romanzo universo che è 2666, sono ora oltrepassati nella parte orientale (Monterrey, Reynosa) anche da questo oggetto narrativo imprescindibile che si aggiunge, come un borgesiano tassello estremo, a quel misterico mosaico azteco in cui sono effigiate tutte le abominevoli divinità della maledizione.
Un libro.
Z, La guerra dei narcos, di Diego Enrique Osorno (la Nuova frontiera).

venerdì 3 gennaio 2014

Americana, di Don DeLillo (Einaudi)

C’è un destino, forse, nel percorso che lega le opere di un autore. E se questo destino appare nella sua densa e stratificata misura fin dal primo libro, allora abbiamo a che fare con Don DeLillo.
Il viaggio che si compie percorrendo la produzione di uno scrittore risponde a leggi strane e in parte sconosciute che, a nostra insaputa, creano misteriosi disegni. Così come la trama a ritroso di Underworld anch’io, nel percorrere il mio personale viaggio con DeLillo, giungo infine al suo primo libro.
C’è stato un tempo in cui lo scrittore italoamericano lo si trovava edito da Tullio Pironti che, per primo, lo fece conoscere al pubblico italiano. Ma Americana era invece pubblicato dal Saggiatore, in base a quei misteriosi casi di trasferimento e acquisto dei cosiddetti foreign rights. Oggi DeLillo è pubblicato da Einaudi.
Ho iniziato il mio personale viaggio tra le parole di DeLillo anni fa, con Rumore bianco. Viaggio che ora mi fa approdare a questa sua opera prima così definitiva. Definitiva nella misura in cui presenta da subito tutte le sue ossessioni. Il suo voyeurismo descrittivo che lo porta ad essere osservatore del frenetico dibattersi delle vite dei suoi personaggi. La presenza costante dei feticci che circostanziano lo scorrere del tempo di una collettività che rimane basita di fronte alla propria incapacità di porsi domande. Lo stagliarsi inquietante di un paesaggio, mai veramente descritto, ma tuttavia sempre presente, che confronta metropoli (luogo di angoscianti strutture che incombono quasi senza vita) e deserto (zona di autodafé senza assoluzione alcuna). E poi l’affascinante commistione di segni stilistici, di installazioni artistiche, di performances totalizzanti che in Americana prendono le forme di una resa dei conti condotta con il mezzo della cinepresa, strumento di autoanalisi, per mezzo del quale l’io narrante coinvolge chi gli sta intorno nella creazione di un film che è, poi, il film della sua propria vita. La parola scritta a DeLillo già non basta più. Deve lasciare spazio alla commistione, alla contaminazione dei generi. La parola che si fa vettore di idee, di confronti, di narrazione nella (della) narrazione. Un gioco di specchi dove l’origine dei personaggi si perde e si trasforma lentamente in un riflesso di ricordi, di azioni, di assente corporeità.
Un riflesso che, alla fine, rivelerà il nulla che circonda la nostra società.
Non c’è scampo nei romanzi di DeLillo. Per nessuno e per niente.
L’ostensione del nulla della nostra contemporaneità è destinata a continuare.
Un libro.
Americana, di Don DeLillo (Einaudi).