mercoledì 31 dicembre 2014

Divertimento 2015

Tanti sono i libri letti, ancora di più quelli da leggere. 
Tanti sono i pensieri cui ho dato forma, ancora di più quelli che questa forma attendono. 
Tanti sono i sentimenti provati, ancora di più quelli cui mi sono sottratto. 
Tante le anime di donna che ho osservato, ancora di più quelle che non potrò osservare. 
Come le aree oscure e inesplorate di una cartografia che un Ottocento avido di esplorazioni non può ancora segnare su un atlante impossibile da completare, così è la speranza di chi sta assiso nella eterna garitta di una Fortezza Bastiani, in attesa di quei Tartari che mai arriveranno se non nel momento dell'abbandono. 
Un uomo sta dove il destino lo ha confinato, nell'eterna finzione creata dalle domande di quello stesso destino cui quel medesimo uomo non ha mai voluto o saputo rispondere.

sabato 27 dicembre 2014

La mia Costa Azzurra, di Alain Ducasse (L'ippocampo)

Luoghi eterni di materializzazioni di anime e passioni. Terre di confine tra una certa idea della Francia, forse alla Simenon e forse no, forse alla Quarta o Quinta Repubblica o forse alla eterni chansonniers alla Yves Montand (ah… quell’Ivo Livi dai completi in nero e camicia bianca kennedyani e dalla incarnazione/interpretazione magistrale di Z L’orgia del potere di Costa-Gavras), e la destrutturazione del noir marsigliese alla Jean-Claude Izzo e al rimando estremo di contaminazioni di zone di frontiera alla Francesco Biamonti, dove la narrazione si trasfigura in poesia portatrice di sentimenti immortali.
Alain Ducasse (che un giorno affermò che quando una portata raggiungeva estremi divini era suo uso non presentarla in sala, lasciandola al ricordo dei suoi creatori, ricordo ben più forte di chi l’avrebbe assaggiata e magari dimenticata) firma questo istante di caves, di boulangeries, di mercati, di mescite, di piccoli ristoranti, di socca e mules et frites, di gelaterie, di manifestazioni senza tempo del cibo e del vino, spesso nate dalla genialità e, perché no, dalla sofferenza, di immigrati di un Piemonte cuneese e astigiano e di una Liguria millenaria, che hanno trovato la loro perpetuazione nella contaminazione con le coste di quel Mediterraneo che va da quella Saint-Tropez di playboy Anni Sessanta fino alla Mentone dai ricordi bonapartisti e oltre, fin verso le porte di un Ponente ligure di attese e sentimenti. 
Alain Ducasse compie un viaggio tra mare e entroterra misteriosi, venati dalle rimembranze provenzali di ritiri alla Frederic Prokosh e di studi cinematografici nizzardi dove La nuit américaine di Truffaut (con)fonde finzione e realtà.
Nessuna concessione al desueto e finto star system, bensì un cammino tra le memorie di un passato che sa reinventarsi nel presente la cui forza vitale è genesi di un'epopea contemporanea di passioni e genialità, dove terroir e cultivar sono definitivi lasciapassare per l’anima.
Un libro.
La mia Costa Azzurra, di Alain Ducasse (L’ippocampo).

martedì 23 dicembre 2014

Auguri

Chiunque tu sia, viandante che passi da qui portato dalla passione per le parole, le storie, i libri, oppure da una strada indicata da un eterno e definitivo motore di ricerca, sappi che chi scrive i post di questo blog ti augura un bellissimo Natale e un anno nuovo pieno di pace e di serenità.
I miei consigli librari natalizi.
Il mio sito.


domenica 21 dicembre 2014

L'odore del riso. La recensione di PostPopuli


Giovanni Agnoloni, scrittore, saggista, traduttore e recensore, scrive su PostPopuli bellissime parole a proposito de L'odore del riso. Il testo originale è qui. Buona lettura!


Angelo Ricci scrive in modo ficcante, per rapidi lampi che sono profonde stilettate. Lo si è visto in Sette sono i re, come anche nella sua – pur diversa per taglio – serie La parte di niente, di “ispirazione” bolañiana. Così è anche ne L’odore del riso, una storia formata da brevi e densi capitoli che tratteggiano, in un’alternanza di momenti di presente e passato, una storia a cavallo tra la Lombardia e l’Argentina. Due i temi di fondo: la memoria e gli odori: su tutti, come chiaramente evidenziato dal titolo, quello delle risaie della Lomellina, onnipervasivo e ossessivo come un rintocco di campana.

Campi, una raffineria e loschi traffici: questo lo scenario di base su cui s’innesta una vicenda di imprenditori criminali, intrecciata con vicende di estrema violenza appartenenti alla storia dell’Argentina a cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Echi di scorci di vita adolescenziali, che improvvisamente virano nel dramma, dall’originaria perdita dell’innocenza ai ricatti e alle manipolazioni della vita adulta. Tutto questo dà la misura della profondità temporale delle vicende narrate, che fondono mirabilmente le tinte noir con scenari dalle venature quasi neorealistiche, evocativi di sensazioni consonanti con quelle di alcuni romanzi o film del secondo dopoguerra.

Il merito principale di questo romanzo in formato e-book, però, è quello di farci sentire lo sporco delle cose insieme a quello delle persone. Sentiamo la polvere, il metallo, il sudore, con un’intensità veramente rara. Merito di Angelo Ricci, una delle penne più convincenti di uno scenario narrativo ultrarealistico, che racconta storie di provincia, sia pur aperte sul mondo, calate nel puzzo della vita, o almeno di quelle vite inevitabilmente macchiate dal colore dei soldi e dei compromessi morali necessari per accumularli.

venerdì 19 dicembre 2014

I miei consigli librari per Natale pubblicati da La voce della libraia


Lucia Zitelli, ottima "libraia" di Ultima Books, mi coinvolge in questa avventura natalizia e, con altri scrittori, mi chiede di consigliare su La voce della libraia alcuni libri per le imminenti festività natalizie. Ho accolto con grande entusiasmo la sua richiesta e il risultato lo potete leggere qui.
Che dire di più? Buone Feste e buone letture a tutti!


martedì 16 dicembre 2014

La signora melograno, di Goli Taraghi (Calabuig)

Luoghi intermedi tra Oriente e Occidente, ponti tra civiltà millenarie che si incontrano e scontrano in quella regione che va dal Caucaso patria di Katholicòs armeni dall’isolamento affascinante, attraversa mezzelune fertili di mastabe e ziqqurat borgesiane sino ad altipiani iranici dai quali sono nate migrazioni indoeuropee e tripartizioni duméziliane e demiurghi zoroastriani e che per secoli hanno condiviso fioriture di patriarchi nestoriani coniuganti Ctesifonte con il Celeste Impero, in attesa del responso di concilii costantinopolitani e niceni.
Territori narrativi contemporanei, ma dalle fondamenta antiche, racconti che parlano di un paese lontano nelle gesta di imperatori achemenidi, arsacidi, ellenici e sassanidi ma, al contempo, così vicino nelle trame della storia coeva, tra neocolonialismi petroliferi britannici e statunitensi e rivoluzioni islamiche dai risvolti medioevali che, da ben più di un trentennio, occupano le prime pagine della cronaca estera tra khomeinismi messianici e falliti blitz di teste di cuoio di Delta Force partorite dal ventre di elicotteri blindati sconfitti nel deserto.
Goli Taraghi ci regala una serie di racconti che si traslano in infiniti e definitivi lasciapassare per il lettore che vuole conoscere la realtà contemporanea di un universo così lontano e tuttavia così simile al nostro. Attraverso le storie di donne coraggiose, ragazze ammantate nei loro amori adolescenziali, uomini sconfitti nella e dalla realtà, ma sicuramente vincitori nello spirito, il lettore conosce anime e sofferenze, passioni e sentimenti, quotidianità minute e avvenimenti politici del Ventesimo e Ventunesimo secolo che hanno segnato e segnano la storia del mondo.
Come una Nadine Gordimer persiana, Goli Taraghi descrive con geniale serenità quelle zone di confine dell'anima in cui donne e uomini si amano, si odiano, si incontrano e si lasciano in quella infinita danza che va avanti nonostante i colpi di stato, le sommosse, le rivoluzioni, gli esili, in una eterna testimonianza di vitalità che sopravvive a tutto, nonostante tutto.
L'Autrice, narrando i fili dei ricordi, scegliendo spesso come avamposto narrativo non luoghi di internazionale e al contempo evanescente modernità come gli aeroporti o come le metropoli occidentali che tutto e niente contengono, segna con la forza delle sue parole il sentiero di una memoria condivisa che unisce il passato e il presente.
Il lettore che saprà cogliere l’opportunità di leggere i sette racconti che compongono questa mirabile silloge avrà la fortuna impagabile di compiere un viaggio non solo tra Oriente e Occidente, ma anche dentro se stesso.
Un libro.
La signora melograno, di Goli Taraghi (Calabuig).

giovedì 11 dicembre 2014

L'odore del riso e La Provincia Pavese

Martedì 9 dicembre è uscito su La Provincia Pavese un articolo di presentazione del mio ultimo romanzo digitale L'odore del riso, edito sempre da Antonio Tombolini Editore nella collana Officina Marziani, diretta da Michele Marziani, e che fa seguito all'altro mio romanzo digitale Sette sono i re che, a maggio, inaugurò proprio questa collana di narrativa contemporanea che sta avendo molto successo. Se volete leggere gli incipit dei due romanzi non c'è che da cliccare qui e qui. Buona lettura!


mercoledì 3 dicembre 2014

Nasce Calabuig, il nuovo marchio editoriale di Jaca Book


Calabuig è una nuova avventura editoriale con la missione di rilanciare la narrativa all’insegna di garanzia e indipendenza. “Qualità letteraria e libertà di scelta sono i timoni del nostro nuovo marchio" sottolineano gli editori Vera Minazzi e Sante Bagnoli (Jaca Book), “che nasce per accompagnare i lettori alla scoperta di narratori inediti contemporanei e della seconda metà del Novecento destinati a diventare gli scrittori di culto di domani. Sarà privilegiata una politica d’autore che punta a scoprire più opere della stessa penna, e al tempo stesso proporre una ricca varietà di prospettive e provenienze culturali”. 

Perché Calabuig? È un nome dai mille colori e dalle variopinte suggestioni tra arte e cultura. Al cinema è stato il titolo di un film del 1956, scritto da Ennio Flaiano e diretto da Luis Garcia Berlanga; in musica appare in un album del 1978 di Roberto Vecchioni: Calabuig, stranamore e altri accidenti. “Nei libri sarà un grande spettacolo di fuochi d’artificio, a illuminare le letterature del mondo”, promette il direttore editoriale Mariarosa Bricchi: “Proporremo storie di terre prossime e lontane racconti dall'Europa, dall'America, dall'Africa, dall'Asia, selezionati per l’eccellenza nella scrittura e per la capacità di riaccendere il gusto e il desiderio della lettura”. 

Un caleidoscopio di narrazioni confezionate nella migliore tradizione della bella editoria: tutti i passaggi sono seguiti con cura, precisione e attenzione ai dettagli: dalla scelta delle opere alla freschezza delle traduzioni (tutte dalla lingua originale), fino alla definizione della copertina e dell'originale identità grafica dei volumi. 

Il viaggio di Calabuig parte il 23 ottobre 2014, con la pubblicazione dei primi due titoli: Il romanzo luminoso dell'uruguayano Mario Levrero, poliedrica figura di scrittore, fotografo, libraio, enigmista, e i racconti La signora Melograno di Goli Taraghi, grande signora della letteratura persiana, nata a Teheran e residente a Parigi, dove ha ricevuto l'onorificenza di “Chevalier des Arts et des Lettres”. 

L’esplorazione della letteratura internazionale proseguirà con la luminosa malinconia del francese Dominique Fabre, la Tokyo psichedelica del giapponese Kazushige Abe, la misteriosa trasparenza dei racconti dell'argentina Hebe Uhart, le bizzarre avventure di un inventore musicista con l’australiano Murray Bail. In equilibrio fra Storia e vissuti personali, le memorie di Szép Ernő sull’olocausto in Ungheria, passioni e ossessioni del turco Yusuf Atilgan e l'Egitto tratteggiato dal maestro della narrativa araba Sonallah Ibrahim.

Buona fortuna quindi a questa nuova avventura editoriale!

martedì 2 dicembre 2014

La cresta dell'onda, di Thomas Pynchon (Einaudi)

Era il 1989 quando, venticinquenne di belle speranze, mi avventurai al 
Salone del libro di Torino in cerca di importatori di riviste e libri americani che avevo trovato su misteriose e misteriche fanzine. Non c’era ancora internet e la vulgata sottotraccia che avrebbe poi portato al deep web si manifestava attraverso file cartacei semiclandestini che riportavano notizie seminascoste di deliranti universi letterari e di orrore. Fu lì che scoprii i postmoderni e, of course, il buon vecchio Thomas Pynchon. 
È passato un quarto di secolo e Pynchon, come il Meatball Mulligan, il personaggio del racconto Entropia, cerca ancora di portare ordine in quella fuga di energia universale che è costante letteraria e cosmica. Ogni galassia ha nel suo centro un buco nero e quel footjob che la eroticamente definitiva Maxine Tarnow elargisce con indifferente voluttà all’hacker di turno è forse il buco nero di questa galassia piena di paesaggi nuovayorchesi post 11 settembre e di "Scuole di Panama" (ora "Istituto dell'emisfero occidentale per la cooperazione alla sicurezza") fucine di addestramento alla tortura per consiglieri militari USA destinati al mantenimento dell'ordine costituito nel centro e sudamericano yankee backyard. Pynchon descrive luoghi molto snuff, dulcet, gore e kinky, estrapolazioni di abissi digitali, dove la crittografia la fa da padrona, in una danse macabre di siti nascosti, di file obsoleti, di livelli di un presunto orrore che forse è l’orrore dell’infinitamente piccolo che si espande verso l’infinitamente grande. La cresta dell’onda è il punto di arrivo di ostensioni esoteriche, già mostrate in passato dall'Autore a quell’universo dei lettori dove forse, come in un magico Tempo di Plank, è la stessa loro osservazione a mutare il tempo attraverso la linea spaziotemporale dei fotoni. Lussureggianti fighe, (ebbene sì, fighe), navigatrici del tempo, come la pynchoniana V, testimone e forse artefice di massacri di nativi namibiani a cura di truppe coloniali guglielmine o report esaustivi di plastiche facciali, o emascolazioni goliardiche susseguenti a erezioni di ufficiali alleati che, ne L’arcobaleno della gravità, segnano mappe di lanci di missili nazisti, o quella atmosfera ottomana di Rumelia Occidentale che, come in una narrazione steampunk alla Karel Zeman, annunciano l’odore del sangue della Prima Guerra Mondiale in Contro il mondo, altro non sono se non l’affastellamento geniale di un universo tragico che porta appunto sino a quel limitare sanguinante e sanguinoso (Bleeding Edge, appunto) che segna i confini di quei bastioni di Orione dove il phildickiano androide vide le astronavi terrestri in fiamme.
Masse purulente di informazioni albergano celate in quello spazio profondo digitale, pregno di siti occultati e segnati da matrici uterine alfanumeriche, collegate a Tor Browser, a Hidden Wiki, a motori di ricerca censurati sino a quel Mariana’s web di cui la vulgata delirante, e forse a suo modo innovativa, conferma, per la sua indagine, la necessità di un computer quantistico. Quantistico, appunto, cioè libero da legami spaziotemporali, alla ricerca di un universo dove a farla da padrona è quella Linea di Plank (ancora linea, ancora edge) in cui osserviamo il passato del presente nella visione allucinata di un futuro forse lisergico dove esseri eterei si auto procurano fellatio o disegnano altrui mappe di morte. Ed è in questa linea di confine tra la vita e la morte che Thomas Pynchon scrive La cresta dell’onda, consapevole di quello che scriveva Nietzsche: "quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro." Lunga vita e prosperità al grande Pynchon, cantore estremo di tempi letterari che sono onda e particella al contempo.
Un libro.
La cresta dell’onda, di Thomas Pynchon (Einaudi).

lunedì 1 dicembre 2014

Il ritorno dell'ossessione

Torna con una nuova copertina di Alberto Malossi, con una postfazione di Francesca Mazzucato e disponibile ora anche su Amazon dove prima non era presente, L'ossessione per le parole. E' un libro cui sono molto affezionato e che per me significa molto. E' stato infatti il mio primo ebook e la mia prima opera pubblicata con Errant Editions, editore col quale ho intrapreso un sodalizio che dura da alcuni anni. Era il 2011 quando Francesca Mazzucato mi propose di pubblicare con Errant Editions. Erano, per l'editoria italiana, gli albori del digitale e dell'ebook e iniziammo da pionieri questa avventura. L'ebook e l'editoria digitale oggi sono una realtà anche in Italia, ma solo tre anni fa tutto ciò non era per niente scontato. Altri miei libri hanno preceduto e seguito questo, ma con L'ossessione per le parole, mentre molti parlavano di ebook, noi intanto li pubblicavamo.

venerdì 28 novembre 2014

L'odore del riso. La recensione di SoloLibri.net


Martina Stanziani pubblica su SoloLibri.net una bellissima recensione a L'odore del riso. Il testo originale è qui. Buona lettura!

Angelo Ricci riesce ancora una volta a stupirmi. L’odore del riso ha tenuto incollato il mio naso e i miei occhi al lettore ebook, senza sosta. Una storia cattiva, cruda.
Un uomo, ex collaborazionista del regime militare argentino, torna all’”ovile”, bramoso di vendetta. Come se avesse capito che chi lo ha reso l’uomo violento, manipolatore, che agisce in modo meccanico senza preoccuparsi degli altri e delle conseguenze, deve essere eliminato. Come se eliminando la causa delle sue scelte di vita e di condotta, possa ripartire e darsi la possibilità di un’esistenza meno cattiva, corrotta, violenta. O forse semplicemente per chiudere definitivamente quel capitolo della propria vita. E sorprende come si conclude questa parentesi. L’incontro con le figlie di questo latifondista, suo comandante. Così diverse tra loro, così uguali alle due facce di una stessa medaglia, di una realtà che vive in superficie e dell’altra che scava fino nei meandri e nelle profondità umane e sociali.
Ho apprezzato tantissimo la sovrapposizione temporale, tra presente e passato, che all’inizio confonde, poi chiarifica. Come due strade che si intrecciano e hanno tratti in comune e finalmente si incontrano, rivelando ciò che è stato e ciò che è. L’odore del riso, delle piantagioni, di umido, di sudore, di afa permea e attraversa l’intera narrazione, come se una patina di sporco si fosse attaccata alle pagine del romanzo e, per qualche scherzo del destino, non riuscisse più a staccarsene.
“Io so tutto di voi. Quando le cose mi facevano schifo me ne sono sempre andato via. Ma non si scappa mai. Non si riesce mai a sfuggire del tutto.”

lunedì 17 novembre 2014

Umberto Dei. Biografia non autorizzata di una bicicletta, di Michele Marziani (edicicloeditore)

Strade e case e cortili e atmosfere di una Milano che sembra scolpita nelle bronzee fattezze delle sculture di un Giò Pomodoro o nelle parole spietate seppur ripiene di infinita umanità di un Giovanni Testori, fanno da sfondo a questa storia di sfide solitarie, di sentimenti inseguiti con caparbietà ultima, di immigrazione, di ottimismo che nasce dalla sofferenza, come da essa nascono le prove migliori dell’umanità. 
Ancora una volta Michele Marziani ci regala un personaggio che ci conduce per mano nella sua lotta contro il mondo e per il mondo. un mondo che dalle piccole cose si specchia nei grandi avvenimenti della storia sociale, politica, economica. 
Marziani interpreta in maniera esemplare quell’insegnamento manzoniano che fa assurgere a protagonisti i soggetti che paiono bensì ultimi, ma che in realtà si trasfigurano nei primi, in quei primi che primi saranno nell’evangelico "Discorso della Montagna". Quelle stesse “genti meccaniche” che l’Autore dei Promessi Sposi vide come necessario lasciapassare per la comprensione dei destini umani. Ed è il simbolismo di una nuova cognizione del mondo quello che lentamente si appalesa al lettore per mezzo dell’ostensione della fisionomia “meccanica” di una bicicletta, la Umberto Dei, che nella sua sapiente e viva presenza di metallo, di telai, di freni, di camere d’aria, ci porta alla infinita individuazione di quelle piccole cose che in realtà sono grandi, come grande sa solo essere lo spirito indomito di chi mai si lascia abbattere da quegli affanni spesso mostruosi che albergano nella quotidianità degli uomini.
Eroi essenziali nella loro semplicità e semplici nella loro essenzialità, che divengono interpreti di coraggiose e innovative visioni, che sanno diventare protagonisti e guide per il raggiungimento di una differente interpretazione della vita (delle vite) e del mondo.
Quanta spiritualità, quanto amore, quanta condivisione può esistere nella passione per una bicicletta. Spiritualità, amore e passione che Michele Marziani ci offre con le parole commoventi e forti di questa biografia non autorizzata di una bicicletta che è anche, e soprattutto, biografia non autorizzata dell’umanità.
Un libro.
Umberto Dei. Biografia non autorizzata di una bicicletta, di Michele Marziani (edicicloeditore).

mercoledì 12 novembre 2014

Sette sono i re. La recensione di Mangialibri


Raffaello Ferrante scrive una bella recensione a Sette sono i re su Mangialibri, importante vetrina di informazione editoriale di cui è caporedattore. Il testo originale è qui.
Buona lettura!

Le staffette in moto girano come api impazzite. Sulle scale che portano al seminterrato blindato spuntano due sentinelle. Un breve cenno d'intesa, poi le moto scompaiono e arrivano i quattro fuoristrada neri. Tre uomini scendono e s'infilano nel seminterrato. Sotto, tra odore di muffa e cemento fresco, un piccolo tavolo. Su di esso un fiasco di Lamezia rosso e quattro bicchieri. C'è un problema da risolvere. Urgente. Qualcuno al nord, vicino Milano, ha preso decisioni in proprio, senza ascoltarli. La questione va assolutamente rimessa a posto e nel più breve tempo possibile. Il loro uomo di fiducia al nord li ha già prontamente rassicurati. Sarà lui personalmente a occuparsi della faccenda. I tre uomini risalgono dal seminterrato e tornano ai loro SUV. Poi, tra il rombo delle moto delle staffette, scompaiono nella polvere... L'uomo è rinchiuso in quel fetido nascondiglio già da alcuni giorni. Non sa ancora nulla. Solo che lo verranno a prendere per compiere il suo lavoro. Deve essere pronto. Come sempre. Come tutte le volte che gli è stata affidata una missione. Che sia in Bosnia o in Medio Oriente non fa differenza per lui. Un professionista non deve pensare. Deve solo agire. Un messaggio al cellulare. Ecco il segnale. Stanno arrivando. Prepara il borsone con le armi. È pronto...Un noir freddo e tagliente come un bisturi questo romanzo di Angelo Ricci. In un'Italia spettrale e desolata attraversata da sud a nord da due camorristi e un sicario imperturbabile, l'autore ci mostra il quadro desolante e desolato di un Paese senza speranza alcuna. Dallo smaltimento dei rifiuti al caporalato, dallo sfruttamento della prostituzione agli appalti truccati, dalla costruzione di autostrade fino all'Expo che viene progettato su un'area contro il volere di chi l'Italia la comanda e gestisce da Aosta fino a Reggio Calabria. Tutto è meticolosamente controllato e sotto stretta sorveglianza di organizzazioni criminali senza scrupoli. Compresa la vita del mercenario chiamato a risolvere l'improvviso intoppo “burocratico”. Eppure proprio a lui, gelida macchina da guerra, toccherà alla fine paradossalmente aggrapparsi per intravedere un minimo spiraglio di salvezza.

martedì 11 novembre 2014

Sette sono i re. La recensione di GraphoMania


La scrittrice Susanna Trossero pubblica una bellissima recensione a Sette sono i re su GraphoMania, l'interessantissimo blog letterario curato dalla Graphe.it edizioni. Il testo originale è qui.
Buona lettura!

Sette sono i re di Angelo Ricci (apprezzato autore che vive tra la Lombardia e il Piemonte), un eBook pubblicato da Antonio Tombolini Editore per la collana Officina Marziani, è scritto con grande accuratezza e conoscenza dell’uso delle parole, spesso ricercate, dense, e sempre efficaci. Uno stile ineccepibile usato per raccontare una storia cruda, cattiva, attuale, che si muove tra Lombardia e profondo sud, tra boss con l’anima sporca ed esecutori che forse di anima ne conservano ancora un poco, e ciò permette loro di osservare meglio il male che miete vittime e ingiustizie, così come riesce ancora a fare il protagonista di Sette sono i re, un uomo che tutto conosce e tutto ha visto, per il quale tutto è lavoro, almeno fino a quando…

Mussulmani, bosniaci, croati, la legione, il degrado tutto italiano, il racket dello smaltimento dei rifiuti, le armi e il mercato di carne umana, di donne dagli occhi oramai privi di luce e dal corpo abusato: questo e tanto altro gronda tra le righe di un romanzo che si legge tutto d’un fiato, che sguazza negli orrori della nostra cronaca e che regge il ritmo, agganciando la narrazione di una storia partorita dalla fantasia dell’autore a realtà che purtroppo a volte ignoriamo.

“La sagoma pluricellulare si snoda a lungo sulla strada, scindendosi per poi ricompattarsi, sgranandosi per poi diventare improvvisamente turgida” è solo un piccolo esempio dello stile di Angelo Ricci, sebbene a tratti proprio quel ricco vocabolario e la complessità di alcune frasi potrebbe trasformarsi in difficoltà di lettura. Noi comunque lo abbiamo apprezzato e ci fa piacere segnalarvelo, in attesa di sentire la vostra. Buona lettura.

lunedì 27 ottobre 2014

L'incipit de L'odore del riso, edito nella collana Officina Marziani della Antonio Tombolini Editore

Dopo Sette sono i re nella collana Officina Marziani esce un altro mio romanzo, L'odore del riso.
Vi regalo l'incipit.
Buona lettura!

Io so tutto di voi.
Io so tutto della geometrica perfezione che regola le vostre vite. 
Io so tutto della geometrica perfezione che regola quello che vi sta attorno.
Tutto è geometria. I quadrati e i rettangoli che sezionano la campagna. Li vedi dall’aereo. Ma non è necessario spingersi così in alto.
È sufficiente un campanile. Un campanile di una certa altezza. E in mezzo alla pianura ce n’è ben più di uno. Basta salirci su e guardarsi attorno. Guardarsi attorno verso tutti e quattro i punti cardinali. E allora la vedrai. Vedrai la serie infinita dei quadrati e dei rettangoli che disegnano i campi. Che creano i loro confini. Quadrati e rettangoli verdi, gialli, marroni. Piccoli, grandi. Ancora più grandi. È tutta geometria.
Anche le pareti grigie e lisce dei capannoni. Anche quelle, a loro modo, sono regolate dalla geometria. Anche gli immensi parallelepipedi delle logistiche sono regolati dalla geometria.
La pareti del mio ufficio quadrato sono verdi e marroni. Ne ho già viste di così. Verdi e marroni, sì. In un altro tempo. Un tempo lontano. Oppure in un’altra vita. Sì, mi piacerebbe fosse stata un’altra vita. Pareti verdi e marroni. Sporche, buie. A circondare e chiudere un pavimento sporco di grasso e di olio di macchina. Odore di benzina. Odore di bruciato. Che brutti scherzi fa la memoria. Sì, mi piacerebbe fosse stata un’altra vita.
E le villette poi. Tutte quadrate. Bilocali, trilocali, tutti più cantina e box. Schiere infinite di infinite villette a schiera. Marroncine, gialline, azzurrine, pallidine. Gliele vendi a un prezzo stracciato. E loro ci cascano. Tutti i disperati che se ne vengono via da Milano. Perché a Milano non ci possono più stare. O perché non hanno più soldi, oppure perché, persi nel niente della pianura, i carabinieri li trovano con più difficoltà. 
La pianura. Sì, la pianura. La pianura è come una troia. Come una troia che se ne sta lì con le gambe larghe. E tutti se la montano. Basta pagare. E il prezzo non è nemmeno tanto alto.
E certo che non è alto. Se sapessero che cosa ci buttano nel cemento. Tutti soldi futuri per gli avvocati. Tutti soldi futuri per le cause. Perché i muri sono così sottili che, se uno rutta o se ne va al cesso, tutto il vicinato lo sente. Ogni piccolo rumore, ogni insignificante movimento, sembra che per vicino hai una banda di percussionisti strafatti. E allora comincia il ballo. Pugni sui muri, gomme tagliate, litigate nel giardinetto di due metri per due. E poi arriva la rissa. Magari un coltello. E il gioco è fatto.
Che poi non è detto che le villette trovino un compratore. No, non è mica detto. 
Io lavoro per gli americani. Che l’America l’hanno trovata qui. Nella pianura.
Per loro l’importante è costruirle, le villette. A loro, in fin dei conti, non gli interessa mica di venderle. Gli basta costruirle. E sono contenti così. 
D’accordo. Anche un bambino capirebbe quello che c’è sotto. Soldi da piazzare, in qualche modo. Soldi da lavare. Però, chi se ne frega. Io mi prendo la mia paga. La mia percentuale. E tutto finisce lì.
Questi americani non li ho conosciuti negli Stati Uniti. No. Certo, tutti credono che l’America sia solo e soltanto gli Stati Uniti. No, io li ho conosciuti in quella del sud. Di America intendo. Li ho conosciuti proprio là. Dove c’erano le pareti verdi e marroni e il pavimento sporco di grasso e di olio di macchina. È là che li ho conosciuti. Tanto tempo fa. In un altro tempo. In un’altra vita. Forse.
Dovreste vederle le facce, quando si comincia a discutere dei terreni da edificare. Cedono in cinque minuti. Ti venderebbero anche la madre o la chiesa con il prete dentro, pur di far quadrare il bilancio. Il bilancio dell’azienda o quello comunale. Le giustificazioni le hanno già pronte. Non c’è nemmeno il bisogno di istruirli. La più bella che ho sentito è che tanto la pianura non è natura. La pianura così com’è, con le risaie e tutto, prima di Leonardo da Vinci, non esisteva. E siccome le risaie e i canali li ha progettati lui, al posto dei boschi che c’erano prima, la pianura va considerata un luogo industriale e non naturale. E quindi ci puoi costruire tutto quello che vuoi. Non c’è problema. No problem. E il terreno te lo vendono in cinque minuti.
Gli americani non credevano alle loro orecchie quando, in ogni comune che visitavamo, tutti quelli che contattavamo tiravano fuori questa storiella. E il bello è che la tiravano fuori proprio gli altri. Gli altri per primi. Mica gli americani. Poi si firmava tutto e si andava via tutti quanti felici e contenti.
Se tutti quelli che tenevamo chiusi tra le mura verdi e marroni fossero stati così malleabili, non avremmo dovuto mettere in piedi la struttura che abbiamo tenuto su per un bel po’ di anni.
È tutta geometria. È tutta potenza della geometria.
Io, dalla vetrina del mio ufficio, non ho altro da fare che guardare fuori. Sto qui, in attesa che venga qualcuno a chiedere i prezzi o le metrature. Ma anche se non viene nessuno è lo stesso. Agli americani basta averle costruite, le villette. E sono contenti così.
Tengo tutto chiuso. Fuori c’è un gran caldo. E l’afa sembra acqua. 
Vedo gli alberi di un viale. Uno dei pochi. Quando sono tornato, non mi ricordavo che qui gli alberi li odiano. Li odiano perché fanno ombra. E il riso e la meliga e il grano hanno bisogno del sole. 
Il sole che d’estate si mischia all’afa. Che si mischia al soffoco, come diciamo noi. E che fa venire fuori dalla terra quell’odore, quell’odore di umido, di stantio, di bagnato. Quell’odore che senti subito, appena passi il Po, venendo da Voghera, o il Sesia, venendo da Alessandria. È quello l’odore della pianura. 
È quello l’odore del riso.
Fuori è tutto deserto. Non c’è un’anima viva. Il peso del caldo afoso questi paesi li schiaccia tutti. Uno ad uno. Ogni tanto vedo passare qualche ragazzina. Conciata come una puttana. Che ride con qualche sua amica o che si fa palpare e mettere la lingua in bocca da qualche suo amico.
La pianura è una troia. Lo è sempre stata. Me l’ero dimenticato. 
Adesso sono tornato qui. 
E aspetto.
Io so tutto di voi.

sabato 18 ottobre 2014

L'odore del riso. Un altro mio romanzo con l'Officina Marziani di Antonio Tombolini Editore

Prosegue la mia avventura di autore con la collana Officina Marziani di Antonio Tombolini Editore. Dopo Sette sono i re è ora la volta di L'odore del riso. Sono molto orgoglioso di pubblicare con questa collana diretta dal bravissimo Michele Marziani nell'ambito della coraggiosa casa editrice voluta dal profetico ebook evangelist & publisher Antonio Tombolini
Come si legge nell'editoriale di Officina Marziani:
Dalla nostra Officina, escono solo pezzi unici: romanzi, storie, racconti, forgiati in ottimo italiano da bravi scrittori. Autori che, pur dotati di talento, conoscono anche la fatica quotidiana del tavolo di scrittura e l’alchimia del sogno. Perché prima di tutto siamo lettori impenitenti, sognatori a occhi aperti.
Officina Marziani è una collana di storie. Storie capaci di abbracciare, mordere, schiaffeggiare, riflettere, nuotare in apnea. Ovvero, per dirla con le parole dello scrittore americano David Forster Wallace, far provare quella stretta allo stomaco che è poi il motivo principale per cui leggiamo.
Abbiamo titoli di scrittori di razza, ma non guardiamo il pedigree dell’autore, scommettiamo sul genio, sulla narrazione e sulla potenza della scrittura.
Non ci importano i generi, cerchiamo di starne fuori, ci interessano solo due cose: la parola che indaga, come nella tradizione letteraria europea, e la trama che avvince, come nei grandi scrittori americani.
Dall’Officina Marziani ci impegniamo a far uscire solo libri capaci di portare chi legge fino all’ultima pagina, anche a costo di farlo piangere, sudare, soffrire, rotolarsi dalle risate, mangiarsi le unghie… Non abbiamo paura a sfidare le mode, a confrontarci con il mondo che ci circonda, a proporre storie inconsuete, a tentare la sorte, a uscire dai binari e dai cori, per colpire, appassionare, accendere un pensiero, rubare una lacrima. Ridare fiato alla narrativa italiana.
E quindi ecco L'odore del riso:
Un ex collaborazionista del regime militare argentino ritorna alla sua terra d’origine, la Lomellina, per compiere, forse, una vendetta contro chi lo ha iniziato in gioventù, alla pratica della sopraffazione e della violenza. Dopo il crollo del regime, che farà crollare anche le granitiche certezze politiche del protagonista, l’uomo torna in Lomellina alla ricerca della grande casa padronale del latifondista, suo comandante in Argentina e causa delle sue scelte sbagliate di vita. Il latifondista si è suicidato e la casa è abitata dalle sue due figlie che, separate da bambine, incarnano, ex ribelle la più anziana e integrata nel sistema la più giovane, i due significati estremi della vita del padre defunto. Un termine: “patotas”, ricorre come un mantra nella narrazione. In spagnolo vuol dire banda di ragazzini. Era il nome in codice che designava i gruppi paramilitari della polizia segreta argentina.Piani temporali si snodano tra un paesaggio desolato di una pianura italiana fatta di strade sbrecciate con la presenza di una raffineria che incombe su di esso e sui protagonisti come un’entità viva e demoniaca.
E come scrive qui lo stesso Michele Marziani:
L’odore del riso è il secondo romanzo di Angelo Ricci, pubblicato da Officina Marziani. Chi ci segue dal primo giorno ricorderà che è stato proprio questo autore a inaugurare questa collana con il suo splendido e duro Sette sono i re.L’odore del riso è ancora più bello e ancora più denso, cupo, sospeso in quella pianura dove Ricci intinge la penna per raccontare il suo personalissimo retrobottega dell’umanità della Bassa.L’odore del riso narra la storia di un ex collaborazionista della dittatura militare argentina.Dopo il crollo del regime, l’uomo torna in Italia, nel suo paese d’origine, in Lomellina alla ricerca della grande casa padronale del latifondista, suo comandante in Argentina e causa delle sue scelte sbagliate di vita.Il latifondista però si è suicidato e la casa è abitata dalle due figlie…Piani temporali si snodano tra un paesaggio desolato di una pianura italiana fatta di strade sbrecciate. Su tutto una raffineria che incombe sul territorio e sui protagonisti come un’entità viva e demoniaca. Da rimanere svegli la notte per arrivare in fondo.
Qui la pagina facebook dedicata a L'odore del riso.
Che dire? Buona lettura!

giovedì 9 ottobre 2014

L'alba dei libri, di Alessandro Marzo Magno (Garzanti)

Se l’universo è in continua espansione verso un infinito che sfugge a ogni umana comprensione e se, quando osserviamo il cielo stellato, siamo testimoni della continuità spaziotemporale che dal nulla oscuro  e insondabile del tempo di Planck giunge fino ai fotoni appena nati che segnano il divenire di un presente che è frutto del futuro e testimone del passato e se, come aveva compreso Giordano Bruno, il microcosmo altro non è se non l’immagine del macrocosmo, ecco che, in quell’universo di parole e storie e sentimenti che unisce in un punto misterico e affascinante l’anima dei lettori e quella dei libri che hanno letto, che leggeranno e che forse, in una deliziosa maledizione condivisa dal destino, sanno che non riusciranno a leggere mai, appare un libro che è pulsar, vedetta galattica, avamposto ardimentoso di quello stesso universo di parole e di storie.
Libri che appaiono e scompaiono nel flusso dei tempi storici come un fiume carsico pieno di significati nascosti, avventure di tipografi e stampatori, vicende complesse di librai che rischiano esistenze e capitali nel nome della parola scritta, biblioteche che, come infiniti scrigni borgesiani, nascondono avventure in cui la vita degli uomini e quella dei libri sono unite in u ’insondabile destino i cui limiti sono sconosciuti perché sconosciuti devono essere. Saggio, romanzo, libro che si fa strumento e strumento che si trasfigura esso stesso in libro, così come si sono trasfigurati tutti i libri che in questo medesimo libro sono contenuti e raccontati. L’alba dei libri è il rapporto ultimo e definitivo che racchiude in sé tutte le anime che vanno a comporre quel misterioso cosmo che vive nel e della insopprimibile volontà che l’umanità, fin dalla sua insondabile comparsa come soggetto portatore della consapevolezza della materia, conduce con sé e verso sé. 
Un libro.
L'alba dei libri, di Alessandro Marzo Magno (Garzanti).

martedì 23 settembre 2014

Un altro mio racconto sul #GallizioLab

Un altro mio racconto pubblicato sul GallizioLab, arsenale delle scritture postmoderno come solo un luogo di narrazioni contemporaneo sa esserlo. Evanescenze narrative, eterne riproposizioni di attimi che diventano storie e di storie che si trasfigurano in attimi di un eterno racconto. Qui, ora e per sempre, compendio di un'#estatealiena come solo certe estati sanno esserlo. Colonna sonora forse di Bruno Martino, da una spiaggia popolata da solipsistiche belle ragazze, o dei Clash, da una costa popolata da white riots.
Buona lettura!

venerdì 19 settembre 2014

Sette sono i re. La recensione di SoloLibri.net


Martina Stanziani pubblica su SoloLibri.net una bella recensione a Sette sono i re. Il testo originale è qui. Buona lettura!

Sette sono i re (Tombolini, 2014) di Angelo Ricci non è il genere di libro che solitamente scelgo, eppure ha attirato la mia attenzione.
All’inizio non capivo bene in che “mondo” fossi finita, così diverso, così sporco e tetro rispetto a quello che mi circonda. Poi pagina dopo pagina mi sono resa conto che ad essere descritta è l’altra faccia della medaglia. Dell’Italia. Quella che spaventa, che è sconosciuta, ignorata. Ma presente e viva. Dove la violenza e lo sfruttamento sono all’ordine del giorno. Dove per soldi si è disposti a tutto. Come il mercenario, protagonista del libro, che si trova immischiato in una missione delicata e importantissima. Convocato dalle alte sfere, non può che accettare la proposta.
Un uomo senza scrupoli, come una macchina programmata per fare ciò che gli viene ordinato. Di lui non conosciamo l’aspetto, ma la sua attitudine e la sua caparbietà sono aspetti cardine del suo carattere. A tratti si può scorgere un’umanità ormai rinnegata e dimenticata, in quest’uomo così crudele e schiavo della sua vita, con un passato costellato di battaglie, guerre, attentati. Come se la condotta che tiene, sia l’unica possibile.
Scritto con cattiveria. Il lettore si sente spettatore passivo e inerme. La storia e l’atmosfera sporca e tetra prendono il sopravvento. Paura. Confusione. Ci si sente persi nell’abisso di questo mondo, senza via di uscita. Ma si anela sempre più a sapere ciò che succede.
"Io non sono un porco. Io non sono un bastardo. Certe volte mi dimentico quello che è successo nel passato. Ma non dimentico che sono soltanto uno che fa il suo lavoro. E non voglio sapere niente del loro rispetto."

lunedì 8 settembre 2014

La notte della cometa. Il romanzo di Dino Campana, di Sebastiano Vassalli (Einaudi)

Traslazioni dell’anima che attraversano soggetto e oggetto di una narrazione che è romanzo, saggio, biografia, testimonianza di un comune sentire condiviso. Sebastiano Vassalli ci conduce qui in una affermazione di storie, di parole, di vita. La vita di Dino Campana come strumento di analisi di tutto un mondo letterario, di un universo culturale e umano fatto di sofferenze, affermazioni di intenti, estraneità e odio e amore per la parola scritta, per il racconto di una vita che diviene resoconto e paradigma della difficile affermazione di un autore che trasforma la vita stessa in oggetto di poesia, in rimarcata affermazione di una condivisione di sentimenti che trasfigurano il presente in un eternità di emozioni.
Quasi inesplicabile e tragica la vita di Dino Campana, vita che è via crucis fatta di stazioni di dolorosa estrinsecazione di passioni che vedono nella poesia lo strumento ultimo di affermazione di un io che conosce il proprio valore, valore rigettato da un insieme di camarille letterarie che tanto (troppo) hanno avuto peso nella costruzione della identità forse mai completa di una nazione altrettanto incompleta, di quella incompletezza che nasce da un Risorgimento imperfetto e prosegue in una giolittiana e fascistizzante ulteriore incompletezza funesta i cui presagi sono ancora oggi viventi in una mai conclusa definizione di comunità.
Dino Campana quindi come paradigma ultimo e definitivo, incarnazione suo malgrado di un divenire che solo un autore come Sebastiano Vassalli, egli stesso soggetto e oggetto di sofferenze di vita e di parola, poteva descrivere nella creazione di una storia imprescindibile e unica.
Tante sono in questo libro le tangenti a una storia che non è solo quella di un uomo, ma di una nazione intera, nel suo insieme angoscioso di infinite contraddizioni. La notte della cometa va intesa come lasciapassare estremo di analisi umane, culturali, storiche, politiche, come diario di un anima che è quella di una intera collettività che non ha ancora trovato, non ha forse mai cercato, quel punto di equilibrio cha la potrebbe forse far rinascere dalle macerie di una storia che ha sempre sprecato i suoi talenti.
Un libro.
La notte della cometa. Il romanzo di Dino Campana, di Sebastiano Vassalli (Einaudi).

martedì 2 settembre 2014

Oggi è morto un libraio. In memoria di Giuseppe Sampietro

Oggi è morto un libraio. Un libraio che ha rappresentato una parte importante della mia vita di lettore e di scrittore. Giuseppe Sampietro gestiva la libreria "L’Incontro", sotto i portici di Viale della Libertà, nella città in riva al Ticino. Ho frequentato gli scaffali della sua libreria sin dai primi giorni della mia vita di matricola universitaria, nei primi anni Ottanta, portato lì da un altro grande lettore e amante dei libri, mio fratello e ho seguitato a visitarli fino alla chiusura, negli anni Novanta. Per anni nella sua libreria ho passato ore di nebbiosi pomeriggi invernali o di afose mattine estive a sfogliare libri e a leggere quarti di copertine. Nella sua libreria c’era tutto e lui tutto conosceva dei libri. Si avvicinava e ti diceva per i tipi di *** è appena uscito questo oppure ti parlava sempre con discrezione di autori e di editori. Lui di te, come lettore, conosceva l’anima. Quando entravi nella sua libreria lui e la moglie erano sempre intenti a leggere e ti salutavano con un cenno, un cenno pieno di parole non dette. Tu passavi tra gli scaffali, leggevi, assaggiavi pagine, osservavi titoli, in un tacito e condiviso accordo eterno di amore per i libri. Molti dei titoli che fanno parte della mia personale libreria li ho acquistati da lui. Ricordo ancora le buste in cui metteva i libri che compravi, con il logo della libreria in stile Politecnico di Vittorini. Prima di internet, prima dei social, prima di anobii e goodreads, prima di scrivere e pubblicare. La sua libreria era aperta anche la mattina di domenica, anche la mattina di Natale. Una parte di me è rimasta in quella libreria di Viale della Libertà. 
Oggi è morto un libraio.

mercoledì 20 agosto 2014

Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, di Sebastiano Vassalli e Giovanni Tesio (Interlinea)

Un pomeriggio assolato di un’estate di un paio di anni fa mi trovavo a Novara, città a me in qualche modo cara perché è la città in cui sono nato. Non sono novarese, sono lomellino il che, in qualche modo, segna comunque una traccia di luoghi condivisi giacché la Lomellina e Novara sono unite o divise da un etereo confine settentrionale fatto di risaie e di pianura (e il monumento alla mondina sta di fronte alla stazione di Novara e nelle campagne novaresi si girò Riso amaro). Sulla mia carta d’identità c’è comunque scritto nato a Novara. Mia madre mi fece nascere in quell’ospedale perché a Novara abitava la sorella di suo padre, mio nonno, che proprio a Novara si era trasferita per lavoro. Sono di natali novaresi per caso, quindi, un po’ come quelli che sono nati su un transatlantico in mezzo all’oceano e la cosa mi rende in qualche modo orgoglioso di questa bizzarria. Altre storie hanno poi reso Novara una città legata alla mia famiglia, trasformandola in luogo di narrazioni condivise di parenti, zii, nonni, fratelli, un lessico famigliare insomma che si snoda in quel territorio, Lomellina e Novara, che le conquiste napoleoniche unirono battezzandolo come Dipartimento dell’Agogna.
Quando vado in una città visito spesso qualche libreria. Le librerie sono stazioni imprescindibili del mio eterno pellegrinaggio di lettore. E in quel pomeriggio estivo, sotto i portici novaresi, mi imbattei in questo libro. 
Intervista, saggio, romanzo forse. Cammino complesso, al contempo tragico ed entusiasmante, sempre affascinante Un nulla pieno di storie è viaggio, confessione, testimonianza. Una linea sottile e misterica unisce sempre autori e libri e Sebastiano Vassalli diviene qui soggetto e oggetto di narrazioni, di inchieste letterarie, di approfondimenti imperdibili, di sincerità estreme e per questo eterne. Come il protagonista di una sciamanica circolarità dei tempi, Vassalli è qui interprete di storie di vita, come il Dino Campana del suo bellissimo La notte della cometa, in una traslazione meravigliosa di tempi e di ruoli che fonde autore, libri, intervistatore e intervistato, scrittore e personaggio. Come il timoniere melvilliano di una nave in tempesta Vassalli ci conduce attraverso il percorso conradiano della sua vita, alla scoperta di quello che è lo scenario biografico non solo dello scrittore ma della sua anima. Un nulla pieno di storie è libro da leggere, da meditare, da conoscere. Vassalli abita nei dintorni di Novara, Interlinea è coraggioso editore novarese di pregio. Mi sa che, quasi quasi, vado a fare un salto a Novara.
Un libro.
Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo, di Sebastiano Vassalli e Giovanni Tesio (Interlinea)

lunedì 18 agosto 2014

Gli amanti di Bisanzio, di Mika Waltari (Iperborea)

Bisanzio, la Seconda Roma, la Mela Rossa dei cronachisti ottomani che ne osservavano da secoli la mura in attesa della sua caduta che è evento millenario che ripete se stesso ogniqualvolta la Storia assiste alla poliorcetica arte della presa di una città che è stata Costantinopoli ma che sarà anche Saigon o Phnom Penh, reincarnando il palazzo imperiale delle Blacherne nel tetto di un’ambasciata USA abbandonato da elicotteri fuggiaschi carichi di funzionari e alti ufficiali di agonici regimi.
Cronaca, diario, storia di eroismi e di erotismo misto a morte e sofferenza, Gli amanti di Bisanzio è romanzo, affresco, imponente rendicontazione della fine di una città che ha rappresentato un unicum storico, interpretando il respiro tragico e comunque lussureggiante di un’era millenaria a cavallo tra Europa e Asia. Ed è proprio dall’ultima Thule di una Finlandia che è estremo continentale che nasce questo immenso romanzo, quasi a manifestare ancora una volta quel rapporto quasi misterico che unì Bisanzio ai destini del nord Europa con la conversione della Rus’ al termine del primo millennio cristiano e che portò la guardia personale degli imperatori bizantini ad essere composta da guerrieri vichinghi in cerca di una patria e da soldati anglosassoni cacciati da una Britannia non più romanizzata e non ancora normanna. Mika Watari compone questo grande romanzo agli inizi degli anni Cinquanta, quando la sua Finlandia era uscita da mortali guerre con il sovietico dittatore georgiano e da pericolose alleanze con il demoniaco Reich guidato dallo jüngeriano Kniebolo, per poi trasformare essa stessa, durante la Guerra Fredda, in un unicum storico a metà strada tra Occidente atlantico e Patto di Varsavia. Gli ultimi giorni di Bisanzio visti e traslati dall’anima dello scrittore come paradigma ultimo forse dei destini della sua stessa nazione. Affascinante libro, romanzo imperdibile per tutti gli appassionati di storia bizantina, ricco di attenti e interessantissimi riferimenti storici, Gli amanti di Bisanzio arriva da Iperborea che, ancora una volta, conduce alle nostre sponde mediterranee le parole di un autore del Nord Europa, un po’ come quei guerrieri vichinghi che trovarono la loro missione sulle rive del Bosforo.
Un libro.
Gli amanti di Bisanzio, di Mika Waltari (Iperborea).

lunedì 28 luglio 2014

I libri nella mia vita, di Henry Miller (Adelphi)

Un libro sui libri. Un libro di educazione umana prima ancora che letteraria. Una testimonianza imperdibile per chi vuole conoscere Henry Miller al di là dei suoi romanzi. I libri nella mia vita appartiene a quella imprescindibile categoria di opere a cui molti scrittori prima o poi arrivano, sono forse costretti ad arrivare, per onorare un sanguinoso ma anche delizioso redde rationem con le pagine che li hanno formati, con gli autori che li hanno influenzati, con le storie che in qualche modo si sono fatte strumento di comprensione, di affinamento di tecniche, di parallelismi condivisi. Significativamente nel titolo di questo saggio, anche se in Miller il confine tra romanzo, saggio, autobiografia è sempre genialmente labile, c’è una preposizione articolata che la dice lunga sul rapporto che negli anni si è instaurato tra l’Autore e le sue letture. In quel riferimento che Miller fa ai libri “nella” sua vita, invece che ai libri "della " sua vita, si ritrova tutta l'essenza del suo essere scrittore, quell'essenza per mezzo della quale tutta la sua esperienza di uomo prima ancora che di romanziere viene inghiottita, penetrata, metabolizzata, per poter giungere a quella affabulazione mirabile e infinita che fonde letture e scrittura, giovinezza e maturità, America e Parigi, sesso e sofferenza, sangue, sudore e sperma, gioia e tristezza, narrazione e saggio, invettiva e profonda analisi del mondo e delle sue contraddizioni. Per Miller tutto si trasfigura in narrazione, romanzo, pagina scritta. Gli autori che lo hanno formato non sono da lui descritti soltanto come visioni monumentali meritevoli solo di una frigida e distaccata contemplazione, ma gli appaiono soprattutto come esseri umani che hanno sofferto, gioito, amato, combattuto, che sono stati vittoriosi ma anche sconfitti. Sono giganti che non hanno avuto remore nel mostrare piaghe e difetti, scoramenti e costernazioni e che, proprio da questi avvenimenti, hanno trovato la forza sovrumana di scrivere pagine che li riflettono in tutta la loro divina umanità. Miller scrive senza sosta, senza respiro, anche qui dando vita a quel ritmo narrativo totalizzante, a quell’incedere senza indugio, a quel raccontare di tutto il mondo e di se stesso senza soluzione di continuità. I libri nella mia vita è il ritratto di un gigante della letteratura che con sprezzo del pericolo si è specchiato fino in fondo nell’immagine di tutti gli autori con cui, malgrado lui, malgrado loro, malgrado le loro vite ardue, ha spartito l’ideale ultimo di quell’umanità che non può fuggire mai dall’insopprimibile esigenza di narrare se stessa e il mondo.
Un libro.
I libri nella mia vita, di Henry Miller (Adelphi).

sabato 26 luglio 2014

Gli editori italiani e Tumblr (parte seconda)

Da sempre sono un utilizzatore della piattaforma Tumblr. Ho teorizzato spesso nelle pianure del web l'importanza ricoperta da questa piattaforma per gli editori, gli scrittori e i blog letterari. Ho scritto anche una guida a questo proposito, edita dall'impareggiabile Errant Editions, casa editrice digitale che fin da tempi non sospetti ha condiviso la rivoluzione digitale dell'ebook. Un paio di anni fa scrissi un post dedicato all'editoria italiana e Tumbl. Ora, nelle mie peregrinazioni sul web, e nell'anniversario della mia quinquennale militanza tumbleriana, scopro il Tumblr di Nda Press, vivace e importante casa editrice diretta da Massimo Roccaforte. E' un esempio elegante e interessante di utilizzo di questa piattaforma da parte di un editore italiano, ancora più importante se consideriamo il fatto che l'editoria italiana predilige luoghi più semplici come Facebook e Twitter. Che dire? Seguite questo affascinante Tumblr.

venerdì 25 luglio 2014

Diario di bordo di uno scrittore, di Björn Larsson (Iperborea)

È sempre un insperato dono quando uno scrittore decide di presentare ai lettori il suo modus operandi. Ed è proprio quello che accade con Björn Larsson e il suo bellissimo Diario di bordo di uno scrittore. Iperborea da sempre getta un ponte forte e rigoglioso tra i lettori italiani e le letterature del nord Europa, quelle stesse letterature i cui prodromi furono così apprezzati nei sogni e nelle visioni di Jorge Luis Borges. 
Attimi irreversibili di vite definitive che si tramutano in anni di fatiche letterarie vengono illustrati in questo libro che è anche guida, saggio, romanzo fatto di romanzi, di parole, di avventure, di sentimenti. La scrittura, la sua genesi, le genesi stessa di tutti i libri di Larsson, il suo rapporto quasi totalizzante con la lettura, con la creazione letteraria, con i personaggi dei suoi romanzi che hanno la capacità di attraversare altri romanzi, altre narrazioni. Tutto questo alberga in Diario di bordo di uno scrittore. E tutto ciò si trasfigura in testimonianza e descrizione del lavoro del narratore che è affermazione di fatica immensa e al contempo di affascinante delicatezza. Perché si scrive, perché si crea, qual è il rapporto tra scritture e scrittori. Tutto questo e altro ancora può trovare in Diario di bordo di uno scrittore il lettore appassionato e affamato di conoscenza, di apprendimento di quelle tecniche che tecnicamente algide non possono essere perché fondono anima e annotazione, parole e passioni e le fondono al fine di creare un storia di parole scritte. Come un lento apprendistato pynchoniano questo libro ci accompagna parola per parola nella avventura fatta di libri, di parole, di storie che è la vita di Björn Larsson, vita che lentamente si appalesa come vero e proprio baedeker per lettori e come insostituibile backstage dell’anima dello scrittore stesso e forse di tutti gli scrittori del mondo. Diario di bordo di uno scrittore è libro utile e piacevolissimo, storia fatta di storie, romanzo fatto di romanzi, libro fatto di libri, che vive di e in una appassionata sfida di narrazioni che nascono e vivono, creano e seminano altre narrazioni ancora, testimonianze irrinunciabili di quella circolarità infinita che è ciò che chiamiamo letteratura.
Un libro.
Diario di bordo di uno scrittore, di Björn Larsson (Iperborea). 

giovedì 24 luglio 2014

Ma Facebook e Twitter servono allo scrittore?

Leggo una interessante intervista all’agente letterario Marco Nardini. In particolare mi colpisce questa frase: Se l’autore sta fermo è difficile che il libro si muova. Stessa cosa se sta fermo l’ufficio stampa, certo, ma credo che forse oggi sia più importante che si sappia muovere bene l’autore, i mezzi a disposizione ci sono per tutti: Internet, festival letterari, incontri con il pubblico, iniziative originali.
Purtroppo Nardini ha ragione da vendere. Se l’autore sta fermo il libro non si muove. Ma come dovrebbe muoversi l’autore? Facebook e Twitter sono strategici nella misura in cui l’autore è già conosciuto al di là della mura digitali delle due fortezze social. Se il tuo nome fa già parte dell’immaginario dei lettori (perché ti pubblica una grande casa editrice, perché dei tuoi libri parlano Repubblica e Corriere) allora Facebook e Twitter diverranno strumenti imbattibili e la gente farà la fila a mettere like e a commentare i tuoi status, magari nella speranza di un tuo commento o perché no nella speranza che tu li noti e gli dica massì mi faccia leggere un po’ il suo manoscritto in cerca di editore (e d’altra parte la gente ha pure ragione, il selfie se lo fa con stella del Real Madrid, mica col centravanti della Virtus Pincopallo). Altrimenti sarai soltanto uno dei centomila scrittori che urlano su internet il titolo del loro ultimo libro e magari un like dalla zia lo ricevono pure. Le librerie presentano in gran parte solo scrittori che possono garantire delle vendite e hanno ragione, mica possono darti tempo e spazio se poi a vederti non viene nessuno? E i festival letterari? Non sono così sicurissimo che qualsiasi scrittore ci possa andare, a meno che non si stia parlando di andarci come pubblico, ma io quello lo faccio già a qualsiasi festival o manifestazione letteraria. Non ci vuole granché, ad andarci come pubblico. Il problema è ad andarci come invitati e allora si ritorna al discorso di prima. In buona sostanza Facebook, Twitter, i social sono strategici per uno scrittore che faccia già parte (per bravura o fortuna) di una struttura che lo sostiene. Per lo scrittore che non si trova al centro di questa struttura l’unica cosa è accontentarsi del like della zia.

mercoledì 16 luglio 2014

Sette sono i re. Le recensioni, l'intervista

Dopo alcune recensioni di lettori apparse in Ultima Books e nel Kindle Store, si parla ancora di Sette sono i re
La prima è una recensione apparsa su Abulico. Lo scaffale editoriale, a cura di Luca Ciavatta. 
Tra le altre cose c'è questa ottima valutazione:
Sette sono i re è libro portentoso. In bilico tra finzione e realtà, il romanzo di Angelo Ricci si rivela più che mai attuale e contemporaneo. Una trama originale che cattura pennellate di comunicati giornalistici, un’ambientazione verosimile che sorprende e incuriosisce, un intreccio che trasporta e logora al tempo stesso. Il testo è valido e appassiona come pochi, la scrittura asciutta rende la lettura veloce e spedita, la trama, come già detto, conquista. In definitiva, un libro che prende e che si legge tutto d’un fiato.
La seconda è una bellissima intervista recensione a cura di Giovanni Agnoloni, apparsa su postpopuli.it

Sette sono i re, di Angelo Ricci, è un libro duro. Duro e bello. Un libro elettronico che avrebbe meritato tutti gli onori della carta. Un romanzo di mondo mercenario, condito da retrogusti di Medio Oriente e soprattutto di ex-Jugoslavia. Una storia in prima persona, dalla voce di un professionista del cecchinaggio, protagonista di una storia senza speranza, al centro di un crocevia lombardo fatto di discariche tossiche e omicidi plurimi. E di “contratti” portati a termine.
La scrittura di Angelo Ricci è tesa, secca, essenziale, e trascina di riga in riga, di pagina in pagina, fino a una conclusione amara, che non delude. È l’opera di una penna felicissima. Viene da chiedersi perché libri così non escano con grandi case editrici. A maggior ragione, un plauso al suo editore elettronico per avergli dato spazio lo spazio che stramerita.
1. Sette sono i re: una filastrocca, il testo di una canzone dei Bandabardò. Perché questo titolo?
Quello che mi interessava era scrivere una storia che delineasse una sorta di allegoria del potere, della sopraffazione, di quella storicamente infinita manifestazione dello sfruttamento dei molti da parte dei pochi; una storia che apparisse come un affresco alla Bruegel o alla Hieronymus Bosch. Quel testo di quella canzone era perfetto, con la sua tragica e tuttavia gioiosa critica del potere, nell’ottica dei cantastorie e dei menestrelli che da sempre hanno descritto le contraddizioni dei tempi. E il suo titolo ben si addiceva a una storia di questo tipo.
2. Il tema, forte e cocente, è il frutto di una tua ricerca personale sui fenomeni del mercenariato e delle discariche abusive?
Sette sono i re è il frutto di una ricerca personale approfondita. Tutti i riferimenti storici, politici, tecnici, persino balistici, sono veritieri. Poi il tutto è stato immerso in una storia dai toni forse fantastici, onirici, da realismo magico. Ma come scrive Julio Cortázar nelle sue Lezioni di letteratura: “Allora non è così facile uscire dal fantastico ed entrare nel cosiddetto realismo; ci sono una serie di zone intermedie che non posso passare sotto silenzio. (…) Mi spiego: intendo per realismo simbolico un racconto – o anche un romanzo – che abbia un tema e uno sviluppo che i lettori possono accettare come perfettamente reale per poi rendersi conto, avanzando nella lettura, che sotto la superficie strettamente realista si nasconde qualcos’altro che è anch’esso realtà, ancora più realtà, una realtà più profonda, più difficile da captare. La letteratura è capace di creare opere che si prestano a una prima lettura perfettamente realista e a una seconda lettura nella quale si vede come, in fondo, questo realismo stia nascondendo un’altra cosa.” (Julio Cortázar, Lezioni di letteratura. Berkeley, 1980, Einaudi 2014, traduzione di Irene Buonafalce).
Credo che Sette sono i re abbia proprio come intendimento quello di far scoprire al lettore quell’altra realtà più profonda nascosta tra le pieghe della narrazione, quelle zone intermedie che non possono passare sotto silenzio.
3. Come sei riuscito a entrare nel punto di vista del cecchino protagonista?
Quando mi appresto a pensare, a scrivere un racconto o un romanzo, mi soffermo sempre sulla questione della prima o della terza persona. In alcune mie opere precedenti ho usato la terza, in altre ho usato entrambe, in altre ancora la prima. È una questione fondamentale per la gestione del punto di vista narrativo. In genere aspetto che i personaggi mi appaiano, mi parlino, si manifestino in qualche modo, mi mostrino loro la strada stilistica che dovrò percorrere, anzi che dovremo percorrere insieme. Per Sette sono i re il personaggio del cecchino mi è apparso in tutta la sua fatalistica tragicità. Ed è come se mi avesse detto: tu adesso sei me e scriverai per me la mia storia. Ecco come è nata la nostra simbiosi narrativa, una simbiosi che ha unito scrittore e personaggio. Così sono entrato nel suo punto di vista, perché lui per primo me lo ha permesso.
4. Le venature stilistiche noir del romanzo non contraddicono la sua letterarietà, anzi. Un altro (se mai servisse) segnale dell’inutilità delle rigide ripartizioni tra i generi?
Rifuggo sempre dalle ripartizioni tra i generi. Non mi interessano. Le trovo inutili e limitanti. Mi interessano invece le contaminazioni letterarie, le ibridazioni narrative. Come giustamente dici, Sette sono i re è un segnale in questo senso, come, d’altra parte, tutto quello che ho sempre scritto e scrivo tuttora.
5. Dopo i primi due “atti” de La parte di niente, opera d’ispirazione più erudita, ecco la vita nel suo sporco concreto. Che cosa, come autore, sollecita maggiormente la tua creatività?
Le contraddizioni, storiche, politiche, umane. La sopraffazione, la violenza. L’indifferenza del potere. Le zone grigie dell’anima. Le figure che scelgono di stare, spesso con tragica e consapevole fierezza, dalla parte sbagliata. Le fratture invisibili del quotidiano, da cui scaturiscono dolore, mistero, ma anche pietà, dignità spesso eroica. Ecco quello che sollecita la mia creatività.
6. I tuoi nuovi progetti letterari?
A brevissimo, e credo entro luglio, sempre per i tipi elettronici della Antonio Tombolini Editore, e sempre nella collana Officina Marziani, collana diretta da uno scrittore che stimo moltissimo, Michele Marziani, uscirà un mio altro romanzo, L’odore del riso. Più avanti, nella stessa collana, uscirà la versione digitale del mio primo romanzo, Notte di nebbia in pianura, che nel 2008 fu pubblicato da Manni. E poi uscirà, edito dalla Errant Editions diretta da Francesca Mazzucato, altra scrittrice che stimo moltissimo, la parte conclusiva della “efferata trilogia” de La parte di niente, dal titolo La parte di niente III, la parte degli editori.