giovedì 28 febbraio 2013

Il posto dei miracoli, di Grace McCleen (Einaudi)

Livide periferie britanniche circostanziano territori sfiduciati e tetri che si trasformano in spenti luoghi dell’anima. Brume angoscianti invadono le capillarità di speranze che non hanno futuro. Un feedback minaccioso che soggioga vite ormai prive del miraggio di un domani e che crea subdolamente una conversazione inquietante con un demiurgo malvagio che, da mai taciute tradizioni sotterranee, gnostiche e manichee, appare improvviso e definitivo, seminando certezze forse demoniache. Simulacri in miniatura che appaiono come visioni deformate di desideri inconsci e terribili e che riverberano il loro potenziale terrificante in una quotidianità greve e asfittica.
Judith McPherson, bambina tragica e triste, discendente forse di quel tranquillo incubo che fu il filmico Il villaggio dei dannati, altra angoscia britannica dall’orrore definitivo, si muove in quei meandri cupi di vie e di case che richiamano quei Territori londinesi che Martin Amis adorna di oscura frammentazione di pietre e di anime. E Terra dell’Adornamento è il nome di quel simulacro involontariamente satanico che la piccola Judith adorna a sua volta di oscuri presagi e desideri. Come la bambola Perky Pat (bambola che Leo Bulero vende ai coloni di Marte per sollevare la loro grama e insopportabile vita, nel phildickiano Le tre stimmate di Palmer Eldritch) agisce in una vita di felicità virtuale all’interno di plastici in miniatura, corroborati dalla simultanea assunzione della droga Can-D da parte di chi quei plastici acquista, così le figurette che si appostano nella Terra dell’Adornamento, che la piccola Judith costruisce con spontanea e disperata sofferenza, iniziano a fondare la valvola di sfogo alle violenze e afflizioni subite. Come la Carrie White di Stephen King, anche la piccola Judith si trasfigura in strumento di tragici accadimenti, persa in una vita dominata da adulti che le durezze di una faticosa e triste esistenza hanno ormai costretto ad abdicare da ogni ruolo di guida.
L’Autrice costruisce un angoscioso flusso di coscienza attraverso il quale il punto di vista della piccola Judith lentamente si altera nella visione totalizzante di una dolorosa e sofferente messaggera di morte. Quella Land of Decoration altro non è se non la terribile visione di un mondo che è troppo dolente per poter essere sopportato. Con Il posto dei miracoli, Grace McCleen ha scritto la storia di un’educazione alle definitive e ineludibili asperità della vita.
Un libro.
Il posto dei miracoli, di Grace McCleen (Einaudi). 

giovedì 21 febbraio 2013

Tra parentesi, di Roberto Bolaño (Adelphi)

Domande si affacciano spesso alla memoria di chi legge. Memoria del lettore che conserva e rifiuta, analizza e ritiene, soffre e si entusiasma. Memoria che è software di un’unità carbonio senziente, database organico, luogo razionale che contiene tutta l’irrazionalità ragionevole delle parole lette, condivise, amate, odiate, a volte addirittura rifiutate. Scansione randomizzata di narrazioni, di storie, di trasfigurazioni spaziotemporali. Perché leggiamo Roberto Bolaňo? Perché desideriamo perderci in quel deserto acido e urbanizzato, in quelle ramblas assassine, in quel mantra letterario che cita autori e opere in un gioco di specchi borgesiano dove la realtà e la finzione convergono simbioticamente verso un’architettura affascinante che, come una Sagrada Familia letteraria, affastella sanguinanti golpe cileni, afflizioni estreme messicane, agghiaccianti scenari ispanici che fondono il terrore della tragicità umana con le profondità verticalizzate e senza fondo di una pop art alla Tijuana Bible che raccoglie oscure leggende metropolitane e abissi poetici? Roberto Bolaňo. Anche i nomi degli autori convergono nel database organico che è la memoria del lettore e, così come i nomi degli scrittori, così i titoli dei romanzi iniziano a vivere di vita propria, affrancandosi dal loro stesso contenuto sino a diventare realtà nominalistica che nel nome vive. Roberto Bolaňo. Don DeLillo conosce la potenza estrema dei nomi (travasata nel suo romanzo che così si intitola: I nomi), il loro iconico potere, la loro consanguineità con la vita e anche con la morte. Spesso si affiancano Bolaňo e DeLillo scrivendo di postmodernità, testimoniando così che, al di là poi di una verifica che fine non può mai avere, i nomi sono la realtà e i nomi degli autori sono (diventano) le loro storie e le loro stesse vite. Consanguineità con la vita e con la morte. Ecco perché leggiamo Bolaňo. Testimone, creatore, narratore, fiera e domatore, vittima e carnefice. Bolaňo è stato tutto questo, è tutto questo. Mappatura estrema e di confine (confine stilistico, di genere, ma anche confine lucidamente invalicabile tra ciò che è e ciò che non sarà più), territorio prodromico e al contempo definitivo, Tra parentesi è l’interzona burroughsiana in cui possiamo osservare tutto ciò che Roberto Bolaňo ha costruito nel suo edificio narrativo. Saggio, raccolta, testo in cui si fondono le ossessioni, i miraggi, le fonti, i bilanci senza speranza, Tra parentesi non può mancare nel database organico dei lettori del grande scrittore cileno.
Un libro.
Tra parentesi, di Roberto Bolaňo (Adelphi).

martedì 12 febbraio 2013

L'angelo Esmeralda, di Don DeLillo (Einaudi)

Connessioni che avvolgono un universo. Connessioni materiali e immateriali. Sentimenti che scavano nel profondo di anime apparentemente semplici (di quella definizione medioevale e francescana di “semplice” che rimanda alla purezza) e che appaiono invece portatrici di abissi, di domande, di sofferenza, ma anche di speranze nascenti da un quotidiano che è la somma di azioni che si affastellano in attesa di un destino che domina il tutto. Congegni meccanici, installazioni artistiche, dispositivi digitali, opere d’arte, ninnoli a volte insignificanti e che invece rivelano paesaggi di anime, ma anche relitti informi, rottami, frammenti che contribuiscono alla definizione dell’immagine totalizzante e completa delle vite che erigono un cosmo, spesso inconsapevolmente o loro malgrado. Un cosmo che combina tracce del passato in un presente sfaccettato e caleidoscopico nella sua complessità. I muri, le periferie, le strade, i viadotti, le ferrovie, il flusso del traffico automobilistico, gli interni delle case, tessere di un mosaico che forma una metropoli dagli intarsi phildickiani e che è, a sua volta, immagine di quel luogo della narrazione che è l’America, intesa come USA, composta in quella definizione narrativa che ne fa immaginario collettivo di storie. Tempi e luoghi che si incrociano e si fondono, generi che si rincorrono e che si completano. Non esiste mai in DeLillo una contemporaneità che possa dirsi completamente tale. Ogni istante che si snoda in questi racconti è il frutto di un passato, arcaico, forse, i cui tratti dominanti vivono sottotraccia in un presente tecnologicamente (ma anche militarmente, finanziariamente, politicamente) frainteso nella rappresentazione propagandistica che compie di se stesso e che di quegli inevitabili arcaismi porta le stimmate, facendosi anteprima di un futuro inevitabilmente dominato senza eccezione dagli atavici rapporti di forza creati dall’insondabile e impalpabile dogma dell’essere in qualche modo incardinanti in un mondo di dominati e di dominatori.
Osservatore, indagatore, voyeur dell’ostensione perenne di una collettività che è governata da un ipertrofico nulla, giocatore estremo del linguaggio e attento conoscitore del potere, spesso sanguinario e sanguinante, delle parole e dei nomi (che si sovrappongono alla realtà oggettiva plasmandola a loro piacimento come demiurghi maligni), DeLillo compone questi racconti come definizione perentoria delle proprie ossessioni. Quelle stesse ossessioni che ha infuso da sempre nella sua creazione narrativa e che configurano altrettanti segni indelebilmente marcati al fine di raccontare il livello profondo e meno scontato sia della società che del suo modo di immaginarsi. L’angelo Esmeralda si staglia al contempo perentorio e interrogativo come perentoria e interrogativa è la storia degli uomini e DeLillo, come un monaco antico che riporti le cronache di miracoli e di saccheggi, contribuisce mirabilmente ancora una volta all’ineludibile opera del raccontare l’eterna circolarità dei tempi.
Un libro.
L’angelo Esmeralda, di Don DeLillo (Einaudi).

lunedì 11 febbraio 2013

Rien ne va plus (Un nuovo "Inaspettato" per il 2013)

La collana Inaspettati/Unexpected, collana che apre lo "spazio al racconto", dimensione ideale, innovativa e di grande successo per l'editore digitale Errant Editions, inaugura le pubblicazioni del 2013 con il mio Rien ne va plus.

“Notte digitale di schermi fluorescenti. La ragazza indossa un abito nero, seduta su uno sgabello accanto alla roulette. Capelli corvini, lunghi e lisci incorniciano un sorriso distratto, anteprima di forme mediterranee e vanità consapevoli” Inizia così questo racconto breve, un “Inaspettato 2013″ da leggere in un intervallo di tempo, in un momento di pausa, per godere di una scrittura senza sbavature, una storia fulminante, dal montaggio calibrato e dall’effetto lisergico.
Angelo Ricci è scrittore, blogger, esploratore digitale, direttore della collana dei Social Media Landscapes per Errant Editions, cofondatore dell’Errant Magazine, critico, organizzatore di eventi culturali, e molto altro. Da scoprire partendo da qui magari. Ma non solo, come chi legge queste pagine già sa.

L’eBook al momento si può scaricare qui,  e sarà prossimamente disponibile in tutti gli store on line.

giovedì 7 febbraio 2013

Ora o mai più, di Nadine Gordimer (Feltrinelli)

Alla ricerca da sempre di una sintesi tra accadimenti narrativi e struttura linguistica, tra storie private, che non possono mai sottrarsi al divenire degli eventi pubblici e politici, e lo sviluppo della nazione sudafricana, a sua volta sintesi ultima di contraddizioni, Nadine Gordimer giunge con Ora o mai più al punto più estremo e affascinante della sua narrazione.
Autrice in cui convivono simbioticamente la sua storia personale e la totalizzante e continua analisi del suo paese, analisi che conduce fin dagli anni Sessanta con lo strumento del romanzo, del racconto, del saggio, la Gordimer è un monumento vivente, una testimone degna della più classica tradizione omerica.
Per mezzo della sua produzione narrativa abbiamo assistito alla mutazione di una nazione che dall’apartheid boero è passata attraverso il crollo del regime segregazionista per giungere a una difficile democrazia che porta in sé le stimmate di tutte le difficili transizioni politiche del continente africano.
Febbrile nella struttura del suo segno stilistico, definitiva nel tratteggio dei personaggi, appassionata e realista al contempo, Nadine Gordimer da sempre costruisce vere e proprie architetture narrative che diventano profonde testimonianze di ansie private e di drammi pubblici e politici, trasfigurati narrativamente con l’uso di un linguaggio affilato frutto di uno stile asciutto e privo di inutili ridondanze.
Minuziosi nella illustrazione delle piccole particolarità delle loro vite, i personaggi della Gordimer rimangono afasici di fronte all’epifania del loro fallimento politico, fallimento che è ancora più grave nella misura in cui sfugge a quegli stessi personaggi per trasformarsi in deus ex machina privo di alcuna pietà.
E quel fallimento non è mai completamente immutabile, senza vie di fuga, ma diviene semplicemente il logico sviluppo di un divenire storico che lentamente divora sogni e speranze.
Ora o mai più racconta il punto estremo della trasformazione di una società, trasformazione perseguita pervicacemente con la lotta più dura, con la guerriglia, con gli attentati, trasformazione che però non ha partorito le speranze di chi per quella trasformazione ha combattuto. Una democrazia ottenuta dopo anni di persecuzioni e che tuttavia non regge alla corruzione, agli interessi particolaristici, al populismo.
I personaggi della Gordimer (boeri, africani, inglesi, borghesi, rivoluzionari) hanno sempre condotto le loro esistenze nella convinzione che comunque sarebbero rimasti fedeli alle loro radici.
Ora, forse, è giunto il momento di andarsene.
Un libro.
Ora o mai più, di Nadine Gordimer (Feltrinelli).