martedì 15 ottobre 2013

Morti di fama, di Giovanni Arduino e Loredana Lipperini (Corbaccio)

Sì, tutto vero, purtroppo. Tutto documentato. Lo aveva già scritto Carlo Formenti qualche anno fa (forse con meno descrizioni da Mondo Movie alla Gualtiero Jacopetti). Epater le bourgeois, ça va sans dire. Siamo tutti marionette, morti di fama, disposti a venderci per un piatto di lenticchie e forse ancor meno. Prigionieri di un’assurda matrice, siamo cani di Pavlov che allegramente producono contenuti, arricchendo multinazionali digitali fondate e dirette da imberbi adolescenti dallo sguardo ammaliante e le tasche piene di dollari e che sembrano personaggi di un plot postmoderno dagli echi delilliani. I tenutari dei blog letterari portano il cervello all’ammasso, ipnotizzati dai luciferini pifferai di Hamelin delle case editrici, assediate dal disastro e che li vedono non come avanguardie, bensì come ultime spiagge (parole degli Autori). I selfpublisher sono inconsapevolmente al servizio di qualche algoritmo misterioso e gli ebook contan poco o nulla. Inquietanti fenomeni da baraccone siliconati popolano lande digitali, spargendo visioni di se stessi come gli scorticati di Fragonard.
È una vita difficile, proclamava anni fa Tonino Carotone o, come già nel 1914 cantavano i fanti inglesi, le cui trincee di morte sconvolsero ben più di un membro degli Inklings, it’s a long way to Tipperary.
Peccato che siamo ancora forse al giuseppinismo o a Napoleon Duarte che voleva cambiare dall’interno il Salvador mentre gli squadroni paramilitari gli rapivano la figlia, o al salotto settecentesco dove intellettuali certamente illuministi danno comunque consigli al sovrano borbonico o asburgico di turno (e anche in quell’epoca non è che Voltaire fosse una mammoletta, editorialmente parlando, vedi Il futuro del libro, di Robert Darnton). Il problema è sempre quello: capire da che parte della matrice siamo schierati, anche se abbiamo fatto nostro il motto di Andreas Baader, Ulriche Meinhof  e Gudrun Ensslin, battere cioè la borghesia con i suoi propri mezzi (e infatti Morti di fama ha un tumblr e un indirizzo gmail).
Forse tutti noi, (autori del saggio e lettori) dovremmo inghiottire la famosa pillola rossa.
Un libro.
Morti di fama, di Giovanni Arduino e Loredana Lipperini (Corbaccio).

Zona Uno, di Colson Whitehead (Einaudi)

Ci sono sempre interzone che definiscono momenti di passaggio, luoghi che trasmutano il conoscibile in inconoscibile, eventi che nascondono, tra le pieghe del banale divenire quotidiano, una porta che si apre su paesaggi infernali. L’”Ultima Sera”. È questo l’attimo spaziotemporale in cui la vita del divenire quotidiano si trasfigura improvvisamente in sanguinaria icona dipinta da un millenarista spietato che riecheggia gli autodafé pittorici e i mondi alla rovescia di Hieronymus Bosch o di Bruegel. È questo l’accesso luciferino che Colson Whitehead sceglie per abbattere e riscrivere la storia delle abitudini reiterate di un mondo e di un immaginario che apparivano fin troppo scontati nella loro fiduciosa e incrollabile staticità.
Orde chimeriche e mostruose battono ormai le vie di campagne e di metropoli. Fortini e palizzate evanescenti sorgono a delimitare i confini di una certezza che altro non ha di suo se non la procrastinazione preagonica della fine imminente. Luoghi destinati a delimitare i confini culturali di un occidente globalizzato sono ormai soltanto campi di battaglia tra un’umanità rarefatta e gli eserciti di Gog e Magog.
E questa apocalisse scioglie lentamente nell’acido di una scrittura cadenzata tra l’interiorità della follia e l’esteriorità dell’orrore ogni vacua certezza. Relitti delilliani di vite postindustriali (il web ormai silente, come un eterno rumore bianco di orrore; pc, stereo e televisori al plasma che nulla più trasmettono se non la loro desolazione di rottami tecnologici; antibiotici senza effetto e supermarket che grondano cibo marcescente; ristoranti alla moda ormai abbandonati e trasformati in avamposti militari di una resistenza senza speranza; icone metropolitane che si trasfigurano in estremi Checkpoint Charlie) vengono travolti dall'incedere inarrestabile di incubi postmoderni che finora  albergavano silenti nella iconografia in bianco e nero di George A. Romero. Zona Uno è il territorio della battaglia finale, è l’Armageddon alle cui pendici si raduneranno alla fine dei tempi tutti i re della Terra in attesa della morte.
L’io narrante di Io sono leggenda è impazzito, ha imbracciato un Ak 47 e ha fatto irruzione nella abitudinaria follia dell’universo postmoderno di DFW e di DeLillo. E allora l’”Ultima Sera” non ha più potuto celare alcuna speranza, trasfigurandosi in resa dei conti estrema.
Un libro. 
Zona Uno, di Colson Whitehead (Einaudi).

martedì 8 ottobre 2013

Gare de Nice-Ville. Il viaggio (Errant Editions)

Le stazioni sono luoghi che abitano un punto mediano delle nostre vite. Luoghi di attese, sogni, desideri, illusioni. Luoghi che fondono presente, passato e futuro. Simboli di scardinamento e di incardinamento, di noia e di flussi di coscienza, di gioia e di odio.
Errant Editions crea il progetto Gares/Stations (qui il tumblr dedicato), riservato al racconto di queste affascinanti e forse misteriose intersecazioni.
Ho scritto un ebook per questo progetto. Si intitola Gare deNice-Ville. Il viaggio. Mi piace Nizza, mi piace quella ibridazione di luoghi, posture e pietre che è quella zona di confine che racconta la fine del Ponente ligure e l’inizio della Costa Azzurra e che presto si fonde negli aromi della Provenza. Luoghi di mare, certo, ma soprattutto luoghi di monti arsi e definitivi, di contaminazioni di vite e di destini. Forse ho tentato di comporre una narrazione che si avvolgesse in quella che viene definita letteratura erotica, non lo so. Quello che mi premeva era di cimentarmi, per la prima volta, con un io narrante femminile.
Che dire? Buona lettura, o meglio, buon viaggio

mercoledì 2 ottobre 2013

#PointLenana - Intervista a Wu Ming 1

Nella serata di martedì 1 ottobre, Wu Ming 1 e Roberto Santachiara hanno presentato Point Lenana a Pavia, a Spaziomusica. Prima della presentazione ho rivolto alcune domande a Wu Ming 1.

Point Lenana. Come nasce questa collaborazione narrativa tra Wu Ming 1 e Roberto Santachiara?
Nasce da un’intuizione folle di Roberto Santachiara che mi fece leggere Fuga sul Kenia, di Felice Benuzzi e mi disse che, a questo proposito, mi doveva proporre una cosa. Ho letto quel libro e mi è piaciuto subito. Fuga sul Kenia era una sorta di ossessione che da tempo accompagnava Roberto. C’erano da scoprire e ricostruire accenni, punti di contatto, momenti nascosti e a volte criptici del passato di Benuzzi. Fuga sul Kenia rappresentava una specie di “evento matrice”, un evento che poteva aprirsi su altre storie, altre narrazioni. Roberto aveva bisogno quindi di un narratore che sapesse muoversi tra gli archivi, le storie, i documenti. E poi mi ha proposto di andare con lui sul monte Kenya. Da questi fatti nasce la collaborazione che ha portato alla stesura di Point Lenana.

Come avete collaborato, in senso propriamente tecnico, tu e Roberto Santachiara?
Roberto è stato il creatore, il portatore di questo “evento matrice”. Ha animato la volontà di giungere a questa narrazione. È stato sempre presente e sempre molto vicino a questa creazione. Ci siamo continuamente confrontati. Io mi sono fatto carico dell’onere dell'organizzazione e della stesura in senso narrativo.

Il collettivo Wu Ming, penso a quello che teorizzate da sempre, come per esempio nel vostro saggio New Italian Epic, interpreta il divenire storico trasfigurandolo in quello che definisce “sguardo obliquo”. Come si incardina Point Lenana in questa definizione?
Point Lenana è l’apoteosi dell’obliquità. È l’opera che inizialmente ha lasciato più perplessi diversi lettori "storici", poteva sembrare una bizzarria. Una serie di storie incastonate le une nelle altre e che ha dovuto in qualche modo perforare la membrana, il feedback che c’è tra noi e la comunità dei nostri lettori. Point Lenana è il frutto di quattro anni di lavoro fitto. C’era la necessità di risolvere problemi di montaggio, di coordinamento tra le storie, tra i piani narrativi. Point Lenana rappresenta appunto quel nostro “sguardo obliquo” sul Novecento. Attraverso la storia di Felice Benuzzi raccontiamo l'irredentismo, il fascismo, il ruolo dell'Italia nella seconda guerra mondiale, la guerra fredda, il colonialismo.

Quanto per i Wu Ming è importante la ricerca dei punti sconosciuti, delle interzone, di quelle che si possono quasi definire fratture spaziotemporali del divenire storico?
Per noi sono luoghi e momenti fondamentali ai fini di quello che definiamo lo “sguardo obliquo”. Raccontare la grande storia attraverso le piccole storie. A differenza dei romanzi ucronici, che presentano una realtà storica completamente alternativa, noi scriviamo romanzi ucronici potenziali. Raccontiamo vicende che si sviluppano in quei momenti storici nei quali tutto può ancora accadere, biforcazioni temporali in atto, dove potenzialità in divenire possono ancora evolversi verso differenti direzioni.

Nelle vostre opere trovano spazio contaminazioni e ibridazioni letterarie, storiche, narrative. È questo il traguardo a cui doveva arrivare il romanzo dal suo punto di partenza, quello cioè del romanzo dell’Otto e Novecento?
È difficile dirlo perché la definizione stessa di romanzo è diventata sempre più inclusiva. Nel Novecento, per esempio, vengono definiti romanzi opere che invece non sarebbero state definite tali nell’Ottocento. Il canone romanzo si è ampliato e oggi la definizione della sua struttura è molto sfuggente. La definizione di questa categoria è ancora aperta e in continua mutazione anche spaziotemporale. Pensiamo a un romanzo del Settecento come il Tristram Shandy di Sterne, che ha caratteristiche simili a certe avanguardie che sono apparse solo due secoli dopo. Io stesso non saprei come definire Point Lenana, non mi sentirei di etichettarlo, di inserirlo in una categoria. L’importante è comunque raccontare storie. Con qualunque mezzo.

Mi pare di ricordare che i Wu Ming lavorassero a un nuovo romanzo, un romanzo che prendeva le mosse da un’altra interzona storica, gravida di sviluppi e di sguardi obliqui: la rivoluzione francese. A che punto è questo progetto?
Lo consegneremo a dicembre e, se tutto va bene, uscirà ai primi di marzo del 2014. E' un romanzo su ipnosi e Terrore (il Terrore robespierriano). Uscirà sempre per i tipi di Einaudi Stile Libero e si intitolerà L’armata dei sonnambuli.

lunedì 23 settembre 2013

La letteratura nazista in America, di Roberto Bolaňo (Adelphi)

Deliziose e definitive simulazioni che tessono una trama che va al di là della realizzazione dell’opera dell'Autore, opera che trasfigura da sempre se stessa da veicolo descrittivo in strumento, mezzo, particella eterna di un universo che vive e riproduce se stesso tra gli specchi (ustori?) di affascinanti malie che fondono echi borgesiani, sentimenti feroci, vitalità estreme e tragiche escatologie. Universo dove la parola non si limita alla pur fatale descrizione, ma va ben oltre il suo stesso ruolo, sino a giungere alla enunciazione di un vero e proprio atto creativo cosmico.
Tassonomia letteraria che prende le mosse da realtà che sono (diventano) finzione e da finzioni che sono realtà, esercizio definitivo di narrazione estrema che conduce verso orizzonti che fluttuano sornioni in quella interzona del creato letterario, interzona gravida di demiurghi tragici che osservano e plasmano strutture narrative che si palesano lentamente nella definizione dei confini del cosmo narrativo, allo scopo di superare quegli stessi, nella dimostrazione ultima dell’infinito percorso della narrazione. Palesamento di stimmate borgesiane imprescindibili, terra di mezzo narrativa tuttavia bolaňiamente determinata, carta geografica uno a uno di un impero della parola, lotteria fantastica nella cui esibizione vengono domate e condotte alla ragione persino travalicazioni ucroniche phildickiane.
La letteratura nazista in America è tassello irrinunciabile nel e del mosaico bolaňiano, è tessera preziosamente cesellata di quel domino (di quell’universo) narrativo che termine non può mai avere se non nel suo impercettibile e tuttavia irrevocabile crollo organizzato da quel suo stesso autore/demiurgo, crollo che ha lo scopo ultimo della e nella dimostrazione dell’orrore atavico che alberga da sempre in quella gnosi misterica e indicibile che è l’umanità.
Un libro.
La letteratura nazista in America, di Roberto Bolaňo (Adelphi).

venerdì 20 settembre 2013

Appuntamenti manganelliani

Per tutti i lettori, i fan, gli appassionati del grandissimo Giorgio Manganelli.


giovedì 19 settembre 2013

La parte e il frammento

Francesca Mazzucato dedica un bellissimo post sul suo blog d'autore di Repubblica.it al bolaniano La parte di niente. E come in un gioco letterario in cui i libri vivono di vita propria il Borges-frammento, interzona prodromica di Borges aveva un Tumblr, uscito parecchio tempo fa, ritorna primo nella classifica dei bestsellers di Ultima Books.
Bolaňo, Borges, parti, frammenti, libri che giocano, respirano... vivono.

martedì 17 settembre 2013

Il ragazzo che credeva in Dio, di Vito Bruno (Fazi)

Un turbinio di parole: franche, lucide, definitive. Un ritmo febbricitante. Un’ansia soffocante come soffocanti sono il vento, il caldo e la polvere di una torrida estate.
Una storia. Una storia antica che si veste delle meschinità e degli eroismi dei contemporanei. Una città. Una città di pietra e di ferro. Una città di uomini e di donne che, nonostante tutto, vivono. Una città che è Taranto, paradigma inquietante di sofferenze di inquinamento e di morte e che solo ora sono dominio della vulgata giornalistica. Una città che è prodromo di una campagna di sassi, di alberi. Una campagna che è scrigno tuttavia di dolci ricordi.
Un uomo: un prete. Una donna: un’immigrata, una prostituta.
Vito Bruno ci accompagna attraverso la crisi umana di un sacerdote, che diviene simbolo delle nostre contraddizioni e delle nostre ipocrisie.
Per ognuno di noi c’è comunque un rifugio. È sufficiente cercarlo. È sufficiente volerlo. Anche attraverso il dolore e la sofferenza.
Come dice Alena, la protagonista: “Voglio tornare a casa.”
Un libro.
Il ragazzo che credeva in Dio, di Vito Bruno (Fazi).

lunedì 9 settembre 2013

Intervistato da "La poesia e lo spirito"

Giovanni Agnoloni mi intervista per La poesia e lo spirito, uno dei più importanti e seguiti blog letterari italiani. Abbiamo parlato di scrittura, letteratura, autori, libri. A Giovanni sono piaciute molto le mie risposte che sul suo profilo Facebook ha definito "illuminanti". Per parte mia lascio ogni giudizio a chi avrà la bontà e il tempo di leggere l'intervista (qui).

lunedì 2 settembre 2013

Canti del caos, di Antonio Moresco (Mondadori)

E questa ostensione eterna di un canto di parole che appare sempre improvvisa pur nella sua estrema volontà di raccontare la necessità deiettiva della perpetuità dell’essere. Apparizione quasi liturgica, messa cantata di luoghi che stuprano parole, opere e omissioni di soggetti che ammantano i loro scheletri di una pelle scuoiata che mostra profonde ulcerazioni che sono dell’anima e del corpo nel contempo. Suono profondo, mistico, terminale. Vibrazione che emerge da un sottotraccia senza fine proprio perché una fine ha, ed è una fine destinata alla ripetizione reiterata e dolente, pur nella sua intrinseca attrazione marchiata a fuoco dal segno di un brivido di sensualità, come la pena inflitta da un demone che mostra sorrisi atroci, inchiavardato nell’eternità di un inferno che si appalesa come una derisione dell’umanità tutta. Pareti scarnificate, offuscate da lugubri sfumature che fanno da scenografia al divenire caparbio di sensazioni vitali e mortali che proprio nella loro reciproca penetrazione ingravidano l’universo. Massa di storie che scardina le porte di un continuum narrativo che esibisce i propri visceri allo scopo di giungere alla stupefazione di quello stesso continuum e di tutti quelli che potranno da esso nascere, nella creazione finale di una nuova corporeità delle anime attraverso la parola. Parola che si fa strumento, ma che diviene anche protagonista che si erge nell'assoluto, che è descrizione, ma anche dimostrazione quasi cartesiana del caos. La materia primordiale muta se stessa in vita palpitante e nasce e muore e rinasce e muore ancora nella negazione e nella affermazione. Luogo che abita la perfettissima zona mediana tra il cosmo e l’atomo, tra la vita e la morte, Canti del caos è l’inno alla nostra modernità così primitiva, così medievale, così scissa e nel contempo unita, vivente tra gli stimoli atavicamente irrimediabili del nostro cervello rettile e l’illusione della onnipresente virtualità tecnologica. Canti del caos va letto perché Canti del caos siamo noi.
Un libro.
Canti del caos, di Antonio Moresco (Mondadori).